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Nico – Desertshore

a cura di Lorenzo Gambacorta

tempo di lettura 2 minuti

Artista: Nico

Etichetta: Reprise

Anno: 1970

Genere: Psichedelia

 

 Their hands are cold

their faces old

their bodies close to freezing

the feelings fine

the morning small

the evening tall”

Nico, My only Child

Nico, nome d’arte della modella tedesca Christa Paffgen, divenne una delle muse di Andy Warhol nella New York degli anni ‘60. Fece parte della Factory, quell’ensemble di artisti di vario genere e provenienza ognuno dei quali si dedicava a una forma d’arte diversa. Warhol voleva esplorare ogni aspetto delle forme artistiche contemporanee, e la diramazione musicale della Factory furono principalmente i Velvet Underground di Lou Reed, i quali si esposero al mondo musicale con un album, Velvet Undeground&Nico, che sconvolse completamente i canoni della musica “leggera” cosi come era stata intesa fino ad allora. Già dal titolo, si capisce che la modella Nico partecipò estemporaneamente come cantante aggiunta. Ella non aveva alcuna esperienza, non partecipò alla composizione di nessun brano, cantò soltanto, già dimostrando però notevoli doti evocative. La sua sarebbe dovuta essere un’esperienza limitata, tant’è che non rimase nella band per più di pochi mesi. Ma qualcosa dell’espressione musicale la aveva in un qualche modo toccata, e cosi la show girl, l’attrice di parti secondarie, la modella fatua, diventò dal nulla un cantore di incubi, un manifesto unico di una attitudine sospesa, eterea, ma anche tragica, come non si era mai sentito fino ad allora.

In parte, è come se il concetto artistico della Pop art di Warhol si fosse impresso nel suo immaginario. La musica di Nico partì da canzoni pop, ma poi si trasformò velocemente in un algido e teatrale concerto per pochi strumenti senza percussioni. La fredda spersonalizzazione serigrafica dei ritratti di Warhol, la perdita della soggettività, la spersonalizzazione, sembrano trovare in Nico tutta l’emotività negata, l’altra faccia dei colori della Pop art, il cupo scarto delle emozioni negate. Forse proprio dall’esser stata un’altra modella in serie, un’immagine senza anima, trasse il senso di essere sulla “riva del deserto”, di fronte al nulla. E dal non essere neanche una musicista, la cantante creò una sorta di musical sull’angoscia, sul non-essere, sulla stasi assoluta, un’incarnazione del principio di morte tanto potente quanto retta, magicamente, su pochi pallidi accenni di vita, che le parti più tenui e dolci rendono ancora più commoventi. I pochi accompagnamenti musicali, sorta di rappresentazioni di oggetti interni ormai perduti e vacui, vagano come alla ricerca di un senso o si impongono in mondo inquieto e caotico come in un violento accenno di psicosi. L’Harmonium, la viola, la tromba, il gong, tutti strumenti antichi che sembrano venire da un tempo non più presente e ormai fuggito, quello dove la mattina è breve, e la notte è grande.

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