America Latina

Recensioni

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America Latina

Dreamin’ Centocelle

Regista: Damiano e Fabio D’Innocenzo

Produzione: Italia, Francia

Anno: 2022

 

Dopo La terra dell’abbastanza e Favolacce (recensione che trovate qui) è arrivato nelle sale il terzo film dei fratelli D’Innocenzo, che si confermano tra i registi più interessanti nel panorama italiano.

Il film è stato presentato in concorso alla 78° Mostra del Cinema di Venezia ed è un viaggio psichico nella mente di un uomo dalla vita apparentemente perfetta, ma che nasconde fantasmi e angosce che esploderanno sprofondando in una spirale di inquietante paranoia. Un thriller psicologico che rimanda a vecchi e nuovi autori tra i quali Bergman e Dario Argento, Lanthimos e Infascelli.

Il film racconta uno spaccato della vita di Massimo, dentista e uomo di successo, interpretato in maniera sontuosa da Elio Germano che con la sua intensità e presenza consente molto alla riuscita e credibilità del film. Per quanto risulti da subito freddo e distaccato, Massimo sembra presentare tutti i sintomi di quello che oggi potremmo definire un “uomo di successo”. Un dentista affermato, con una villa con piscina in campagna, un grosso SUV, una bella moglie e due figlie devote. È un uomo delicato e sensibile che si commuove ascoltando sua figlia al piano. Gentile e disponibile con le persone che ha accanto, che ama la propria moglie e che conserva un’integrità morale rispetto a alla fiducia ed al tradimento. Come dicevamo però ne fa da contraltare il senso di asetticità nei suoi rapporti personali, che sono freddi e stereotipati. La stessa birra, con lo stesso amico, nello stesso posto, alla stessa ora. Ad un certo punto però si spegne la luce e comincia la discesa negli inferi. Letteralmente una lampadina fulminata in casa lo porta giù in cantina dove scopre con sorpresa ed orrore la presenza di una ragazzina legata ed imbavagliata. È sua intenzione quindi scoprire tutto sulla vicenda infilandosi in un dedalo paranoico in cui non può più fidarsi di nessuno e si sente minacciato da tutti. Perfino la sua famiglia perfetta.

Nella scelta delle parole che compongono il titolo c’è già tanto del conflitto che poi vediamo rappresentato sullo schermo. L’America Latina (maiuscola non casuale visto che è stato girato nell’hinterland dell’Agro Pontino) dei fratelli D’Innocenzo è un non-luogo geografico e mentale. Un gioco antinomico tra due concezioni opposte dell’animo umano. La ricerca del sogno americano e del successo da una parte, la palude ammantata di nebbia della provincia dall’altra. Grosse ville a più piani e grandi macchine costose sono il sogno dell’uomo moderno, che però ha bisogno di spazio per il giardino, la piscina ed il parcheggio. Questo spazio tuttavia diventa distanza, per incontrare gli altri bisogna sempre coprire lunghe distanze con macchine o moto. Distanza tra le persone e negli affetti. Le relazioni sono difficili e forse anche tenute lontane e controllate perché non ci si possa esporre troppo.

In questo senso possiamo trovare nella lettura del film un machismo tossico di sottofondo presente nella nostra società che è quello che ci impone di essere sempre forti, perfetti ed intangibili. La parte emotiva, che il film identifica simbolicamente con quella femminile, deve essere sempre tenuta a bada perché sintomo di debolezza. Massimo infatti ad un certo punto sembra prima custode e poi controllore di questo harem di vergini impure, quando loro vestite di bianco, riunite in un conciliabolo malizioso, paiono tramare qualcosa alle sue spalle. Lui è padre tenero e premuroso, ma diventa anche padrone geloso e possessivo quando sente di perdere il controllo. Massimo è vittima o carnefice?

Il vero protagonista del film però potrebbe essere la casa. Lussuosa, fredda e piena di contraddizioni grazie alla scelta della fotografia, delle luci e dei colori diventa simbolo perfetto del mondo inconscio del protagonista. Del non-luogo dove abitano i suoi pensieri e le sue angosce più profonde e, forse, più vere rispetto al Falso Sé che viene presentato al mondo esterno sociale e lavorativo. Al valore superficiale dell’immobile si contrappone la secchezza ed il marciume dell’ambiente circostante. La piscina sporca e i muri scrostati; i colori caldi, la moquette ed il pianoforte dal quale la bambina fa riecheggiare dolci note e che il padre invece non riesce a suonare.

Qui sembra tutto bello e protetto dalla corruzione del mondo esterno. Ma c’è ancora uno spazio nascosto quando decidiamo di scendere più a fondo nella nostra mente, quello dello scantinato dove Massimo trova una bambina legata ed imbavagliata. Uno spazio privato del Sé, come teorizzato da Green, dove è sedimentato il nucleo essenziale della nostra identità psichica. Il non conosciuto, l’essenza delle nostre angosce più grandi. In che modo può l’Uomo trovare un senso in tutte queste contraddizioni che sono poi insite nella sua natura e soprattutto così strutturate nel nostro tempo?

Come è facile immaginare, e come già evidente dalla visione del trailer, il film è un percorso perturbante nella psiche, un percorso nelle pieghe più profonde dell’animo umano in relazione con il tessuto sociale dei nostri tempi. L’effetto straniante e angoscioso viene reso in maniera efficace dalla macchina da presa che parte dalle ampie vedute della pianura nebulosa e finisce per stringere sempre più su pungenti e fastidiosi primissimi piani che distorcono i volti e sfumano i contorni.

In definitiva un film straniante che gioca sui conflitti e le contrapposizioni, che pone molti interrogativi e lascia aperte molte domande se decidiamo di lasciarci trasportare dai registi e dai personaggi nel loro percorso. Questo però non è il solito percorso catartico o salvifico dell’eroe ma un viaggio a ritroso verso lande che troppo spesso decidiamo di lasciare inesplorate. Quando nascosti nella nebbia degli impegni, del lavoro perfetto, dei soliti problemi, dell’aperitivo, di tempi, cose o rapporti standardizzati e sempre uguali ci dimentichiamo di controllare e ripulire il nostro scantinato.

La questione riguarda tutti e lascia grandi punti interrogativi sulla gestione delle nostre vite secondo gli standard comunemente accettati e che dovremmo prendere seriamente in considerazione prima che si spenga la luce e ci si ritrovi costretti a cercare una nuova lampadina nel seminterrato!