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Una donna promettente

Eros e Thanatos

   a cura di Cosmo Pietro Ferraro

tempo di lettura 2 minuti

Regia: Emerald Fennell

Produzione: Regno Unito; USA

Anno: 2020

Esordio felice alla regia per Emerald Fennell con una black comedy/thriller che risulta molto attuale nella scelta dei temi trattati e battezzato da qualcuno come il manifesto femminista del nuovo millennio. Presentato al Sundance, noto festival indipendente, e poi vincitore di un Oscar come miglior sceneggiatura originale, colleziona altre quattro nominations (miglior film, regia, attrice protagonista, montaggio) e numerosi premi.

Cassie è una giovane donna che vive ancora con i propri genitori nella casa di famiglia conducendo una doppia vita. Di giorno dolce ma scostante commessa di un café, di notte una sorta di contro-eroina vendicativa che si finge ubriaca per lasciarsi adescare da “bravi ragazzi” sempre pronti ad aiutarla approfittandosi di lei. La vendetta viene direttamente dal passato della protagonista. Durante il college la sua migliore amica venne stuprata durante una festa nel campus, anche se tutti i tentativi di denunciare l’accaduto furono vani. Storia tristemente nota e che si ripete troppo spesso, una donna ubriaca che in fondo se l’è cercata, una gonna troppo corta o una maglia troppo scollata. Cassie lascia per questo motivo il college, mentre la sua amica colpita da vergogna ed umiliazione si toglierà la vita.

In effetti la trama ed il titolo del film sono stati ispirati da un fatto di cronaca realmente accaduto, il caso Turner, in cui la pena comminata allo stupratore venne alleggerita poiché il ragazzo era una “giovane promessa” e questa accusa avrebbe potuto rovinare il suo futuro.

Il film disegna i tratti di una società impregnata a fondo di una mascolinità tossica che fatica a prendere una posizione chiara quando lo status sociale dell’aggressore non disegna per forza l’immagine di un uomo sporco, brutto e cattivo. Allora l’uso o abuso di alcol e droghe da un lato o dall’altro possono modificare l’idea dell’opinione pubblica.

Cassandra prova a denunciare tutto questo ma, come la sua omonima greca, nessuno riesce a prenderla realmente sul serio o a credere alle sue parole. E anche se durante tutto il film la parola stupro non viene mai pronunciata il messaggio arriva puntuale e potente.

La vera forza del film però sta nella fotografia, nelle scelte della regista e nell’uso dei colori che ci trascinano con forza nella vita di Cassie percorrendo insieme a lei un viaggio di elaborazione di un trauma e di un lutto. Un evento traumatico che ha bloccato lo sviluppo psicosessuale della protagonista causandone, da un lato, una regressione ad un epoca in cui tutto era più facile e felice. L’uso eccessivo dei colori pastello disegna un ambiente infantile e plastificato, così come l’ambiente genitoriale è vecchio e poco colorato. Morto e bloccato in un non-tempo in cui le due ragazze erano solo delle bambine spensierate; d’altra parte invece questo mondo stride con la Cassie notturna, aggressiva e disinibita che vive una ipersessualità nei modi e nelle relazioni, per quanto poi questa venga sempre negata.

Nel mezzo, il suo Falso Sé. Ciò che la giovane moderna Cassandra presenta alla società, ovvero la brava figlia, la commessa e collega attenta, la donna pacata e fintamente equilibrata. Qui i led, i vestiti brillanti e glitterati lasciano spazio ai colori tenui, il trucco marcato lascia spazio ad un viso acqua e sapone. Una vita anedonica.

Cassie e la sua amica hanno perso i loro sogni, la spensieratezza e, allo stesso modo, il loro lato più giocoso e generativo. Erotico, nel senso più ampio del termine.

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