Stupidi e contagiosi

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Stupidi e contagiosi

Stupidi e contagiosi

 una generazione alla ricerca di se stessa

a cura di Cosmo Pietro Ferraro

tempo di lettura 2 minuti

Autore: Giovanni Za

Edizione: Fandango Libri, Roma. 2020

  

È il 1996, i ruggenti anni ’90. Fratelli degli ’80, figli del ’68 e degli anni ’70, delle proteste e della generazione che voleva la fantasia al potere.

I liceali di Giovanni Za fioriscono e prendono linfa da questo humus socioculturale ed è importante tenerlo in considerazione per meglio comprenderli e per meglio comprendere la nostra generazione e quelle future. Stiamo, ad oggi, sempre più prendendo coscienza del fatto che la rivoluzione sessantottina ha probabilmente fallito le sue intenzioni e tradito i suoi ideali. L’onda lunga del boom economico ha riempito i bicchieri pieni dell’Italia ‘da bere’, il Muro di Berlino è caduto fracassando il bipolarismo del tempo in una globalizzazione frammentata e frammentaria che porta sempre più verso la perdita di un senso identitario definito, così come a crescenti sentimenti di alienazione nella popolazione. Nel mentre la generazione di Kazu Makino, Ariel Nata con le Ali, Carlo Gustavo, Vibenna, Titta Rosa e Gamla Fru (alcuni dei personaggi di Stupidi e contagiosi) è la prima che cresce lontana dalle fortune dei loro genitori. Disillusa, svuotata, che fa difficoltà a riconoscersi in qualcuno o qualcosa (“il nostro mondo è letargia”). Allora questi ragazzi si aggrappano alla musica, alle chitarre graffiate dei Nirvana, all’acidità degli Smashing Pumpkins, all’indolenza dei Blur, alla tensione apocalittica di Nick Cave.

Stupidi e contagiosi è molto più che un romanzo di formazione e consente al lettore di intraprendere un viaggio esperienziale. Un viaggio all’interno della mente di un adolescente popolata da tanti personaggi molto diversi, anche se così uguali tra loro. Seguire la narrazione di questo libro come un racconto in una stanza d’analisi diventa un gioco divertente. I vari personaggi rappresentano vissuti e agiti tipici di qualsiasi ragazzo che si affacci alla soglia della nostra porta, è impossibile perciò riconoscersi in uno solo di loro se non rivedendosi un po’ in tutti. È un’esperienza straniante (e non poteva essere altrimenti!) poiché il mondo visto con gli occhi di un ragazzo di 18 anni ha sfumature e colori totalmente diversi da quelli a cui siamo abituati. Una serie di eventi si susseguono e accadono ai protagonisti che ne sembrano attori inconsapevoli. Alcuni scorrono veloci, quasi impercettibili per loro e questo spesso rispecchia la loro immaturità nel comprendere l’importanza di ciò che gli accade e le conseguenze che certe situazioni possono avere. In altri momenti invece pare quasi venga dato un risalto anche eccessivo a circostanze che ci sembrano marginali nel loro percorso di crescita. Questa scelta narrativa è spiazzante e confonde ma rispecchia fedelmente il funzionamento mentale dei ragazzi e ci consente di metterci nei loro panni, se siamo pronti ad abbandonare preconcetti e pregiudizi.

La musica, l’attivismo politico, l’occupazione, il tennis, l’interrail, la vita di tutti i giorni sono un tentativo di definizione di sé e di costruzione di un’identità. Un viaggio alla ricerca di significanti “in uno stato in cui si mescolavano stanchezza, allegria, onnipotenza, disperazione e sonno”. Ma come sempre la definizione dei confini del proprio Io e la sua strutturazione si costruiscono solo nell’incontro con l’Altro. È la relazione che funziona da specchio per il soggetto in costruzione, soprattutto nel momento topico della crescita dell’individuo in uno dei momenti più importanti del proprio processo di individuazione/separazione. In tal senso è davvero significativa la relazione tra Carlo Gustavo e Titta Rosa, così come la sua dichiarazione è stata la mia personale epifania dell’intero racconto.

“Non ti capita, ogni tanto, di vedere le cose senza essere in grado di riconoscerle? Stai lì a fissarle, ti concentri, ma non le vedi davvero. Non ti succede mai di non riuscire a vedere quanto è blu il blu? Non ti sembra che sia la stessa cosa con i nostri compagni di classe? Non ti stupisce che di loro non sappiamo molto? Dico, le sensazioni, i pensieri, i sentimenti…”

La loro colpa è però quella di rispecchiarsi in un tessuto sociale ormai lacero e disgregato che non può restituirgli un’immagine nitida e uniforme. La caduta dei classici valori di riferimento è appena iniziata. L’evaporazione della funzione paterna di limite e definizione, come direbbe Lacan. I genitori ed in generale gli adulti di riferimento sono fumosi, se non assenti, oppure quando presenti interpretano il loro ruolo in maniera eccessivamente rigida. E in tutto questo non sono poi così dissimili dai giovani dei nostri giorni.

Non gli rimane quindi che continuare il viaggio potendo contare solo su loro stessi. Appoggiandosi uno all’altro, occhi negli occhi, affrontando tutto ciò che la vita è in grado di sottoporgli cercando di sopravvivere ad ogni giorno. A testa alta e con la musica a tutto volume.

“Se ti reggi ancora in piedi, ti prendo per mano e usciamo a fare una passeggiata.”[…]

“Mo’, dai, usciamo da questo posto, prima che ci dicano che siamo tutti morti”, gli disse Kazu Makino.

Fuori c’era il loro paese, a pezzi, senza speranza, il futuro opaco, tutto quello a cui si erano preparati da mille a mille anni.