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La città dei vivi

L’era di Thanatos

A cura di Lorenzo Gambacorta

Tempo di lettura 2 minuti

Autore: Nicola Lagioia

Edizione: Einaudi

Anno: 2020

La Città dei vivi è un’indagine del giornalista/scrittore Nicola Lagioia su uno dei più efferati delitti che si sono consumati nel nostro paese negli ultimi anni: nel marzo 2016 a Roma due ragazzi di buona famiglia torturarono e uccisero Luca Varani, un altro ragazzo di periferia che “arrotondava” facendo marchette. Lagioia ricostruisce con precisione inquietante e impressionante gli eventi, dopo aver intessuto una corrispondenza diretta con i responsabili, e si interroga sul perché di un delitto inspiegabile, che sfugge a ogni logica razionale. Non ci sono ragioni economiche, non c’è alcun motivo passionale, fra carnefici e vittima c’era una conoscenza vaga, marginale. Il quarto capitolo del libro, intitolato “in fondo al pozzo”, particolarmente destabilizzante, è la ricostruzione di 3 giorni di discesa in una follia disarmante, un susseguirsi caotico di eventi in cui i due assassini si complementano nella costruzione di un delirio di onnipotenza e sopraffazione dai tratti comunque poco definiti, disorganizzati, che rendono la vicenda ancor più allucinante.

Lagioia si interroga sul senso, cerca di capire se la perdita di controllo possa essere controllata a posteriori, forse non spiegata, ma per lo meno contenuta, trasformata in qualcosa che possa per lo meno essere pensabile. Ma non arriva a una risposta, aprendo semmai inquietanti domande che rimandano alla connessione che ogni protagonista della vicenda ha con l’insieme di significati e significanti in cui ognuno di noi è immerso. È vero che si tratta di una follia a due in cui un narcisista e un depresso cronico hanno esaltato ognuno la rabbia dell’altro, scatenando una terribile tempesta di azione senza pensiero. Un incubo e un succubo, come li definisce l’autore, sottolineando giustamente come le due funzioni vengano però assunte da entrambi gli assassini in una spirale senza speranza. Ma la vera domanda riguarda sopratutto la negazione completa, maniacale nell’uno, più schizoide nell’altro, di ogni tipo di relazione oggettuale. Il loro infatti, è un mondo privo di relazioni, costantemente negate e fuggite, e questa realtà, scrive Lagioia, è una realtà più condivisa di quello che possa sembrare, dove di fatto si cancella completamente il concetto di colpa, e con esso non solo il senso della responsabilità individuale, ma addirittura quello della stessa libera scelta. Perchè la colpa presuppone un altro, ma è l’altro che scompare sempre più dall’esperienza interna che ognuno dei protagonisti della vicenda, forse in parte vittima compresa, fanno nella loro vita.

Completamente votati alla ricerca dell’uno, l’unità perfetta e assoluta, autoreferenziata, la fuga dall’oggetto, il riparo idealizzato nella torre d’avorio di un sé onnipotente, che si proietta alternativamente nei giorni precedenti all’omicidio in sogni di gloria, denaro, progetti assurdi e tentativi folli di raggiungerli, il fallimento inevitabile alla fine conduce i due assassini allo zero, l’annullamento totale, raffigurazione atroce della pulsione di morte, la sopraffazione completa del terzo ma anche il loro inevitabile annientamento in quanto esseri vitali.

Se esiste una ragione, Lagioia fa supporre che perlomeno la Psicoanalisi possa provare meglio di altri vertici a raccoglierne almeno una raffigurazione vagamente attendibile, provando a ricostruire un contenitore che non esploda tragicamente di fronte a contenuti non immaginabili, ed è proprio attraverso l’uso di termini e metafore proprie della Psicoanalisi che lascia intendere il valore di questa possibilità.