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Zombi

Avidità

a cura di Luca Ricci

tempo di lettura 2 minuti

Titolo originale: Dawn of the Dead

Regista: George A. Romero

Anno: 1978

Produzione: Stati Uniti d’America, Italia

 

 

Canone per la concezione contemporanea dei morti viventi, Zombi condensa una quantità di livelli di significato enorme. I morti che camminano sono un fenomeno che coinvolge tutti, che si aggiunge ai già molti e fin troppo stressati conflitti sociali. I morti viventi sono una nuova minoranza e sembrano rappresentare la visione che la maggioranza ha delle minoranze in senso ampio. Ma sono anche espressione di una emotività (e se vogliamo una scossa per l’empatia) che la cultura occidentale occulta sempre di più dietro razionalizzazioni e speculazioni.

Romero propone l’avvento dei morti viventi come un dato di fatto. Ci sono e basta. Si trascinano lungo le strade con gli occhi vacui e la bocca carica di bramosia. Forse perché gli zombi sono poco importanti: sembra che l’accento debba essere posto sull’impatto che questi hanno sulla società, i gruppi, le istituzioni e le singole persone.

La trama è molto semplice: un piccolo gruppo di persone (tre uomini e una donna) fuggono dalla città infestata dai morti viventi e si rifugiano in un centro commerciale. Rifugio ottimale, ma precario. I quattro dovranno confrontarsi sia con gli zombi che con bande di sciacalli, ben armati, crudeli e avidi. È ovviamente una storia di sopravvivenza. La domanda è: da cosa?

Introducendo gli zombi e il disastro sociale che ne deriva, sembra che in ballo ci sia la definizione stessa della vita umana, intesa come il condensato dei significati e dei valori, ontogenetici, culturali, sociali e filogenetici. A più riprese, Romero inscena situazioni in cui il nemico è un affetto che poco prima era una base di appoggio e progettualità. Mostra la colpa nel doverlo eliminare o nel doversene separare. Gli zombi sono un lutto non elaborato e collettivo e culturale. Appaiono come la rappresentazione dell’avidità della società dimentica di ciò che ha sacrificato per appagare i propri bisogni.

Il piccolo gruppo col quale Romero chiede di identificarsi è un gruppo che a sua volta percorre la vecchia e conosciuta strada dell’avidità. Il centro commerciale si propone come un seno pieno e inesauribile in cui poter sostare e parzialmente dimenticare le ritorsioni che derivano da tanta bramosia. Ma è proprio in quel luogo che i protagonisti hanno l’occasione di osservarne gli effetti. Gli zombi si comportano esattamente come si comportavano loro: affollano i negozi del centro, vuoti, tesi all’oggetto e privati di un’interiorità che possa ospitare altre soggettività. Un’ulteriore occasione di auto-osservazione giunge con la banda di sciacalli. Parte esasperata dell’avidità, la banda mira a svuotare il centro commerciale con l’idea di uccidere chiunque ostacoli tale proposito.

Lo splatter che Romero impiega è particolarmente significativo. La rappresentazione è il più possibile cruda, oggettiva. Ma è anche inconscia: viene rappresentato esattamente ciò che rappresenterebbe la fantasia inconscia. Sembra una scelta stilistica che non solo si avvale di uno strumento scenico del periodo, ma lo significa come idoneo a rappresentare le scene inconsce dell’avidità.

Il lutto che pervade il film non riguarda solamente il fatto che ci siano dei morti, ma il modo in cui questi sono morti. La scomparsa è quella della capacità di contemplare e preoccuparsi di un oggetto interno affettivo, di preservarlo dalle spinte avide che svuotano di significato e annullano l’empatia, portandolo ad essere solamente un mezzo e mai un fine.

Sembra essere anche questa la dinamica della relazione fra maggioranza e minoranze che anima il film all’inizio e che poi va a collocarsi sullo sfondo: ricercare una soddisfazione senza limitazioni e cura per l’oggetto che nutre. Sfruttarlo senza immaginare la fine delle risorse o le conseguenze per l’oggetto stesso. Gli zombi sono questo: un’identificazione proiettiva dell’avidità. I morti viventi stimolano la paura delle conseguenze della nostra stessa avidità.

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