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Antonio Suman, psichiatra, psicoterapeuta psicoanalitico, AFPP

L’articolo dell’Espresso di Corbellini rappresenta uno dei periodici attacchi alle
fondamenta della psicoanalisi che, malgrado non siano nuovi, non possono essere
ignorati. Desidero perciò aggiungere il mio punto di vista a quanto già confutato da
Anna Nicolò.
Abbiamo almeno due vie per affrontare lo studio della mente: uno che riguarda la
conoscenza scientifica che riguarda le strutture neurali deputate a svolgere le funzioni
psichiche, tipico delle neuroscienze e una che si rivolge alla soggettività, come noi
sentiamo e ciò che noi pensiamo attraverso l’ascolto, l’immedesimazione,
l’accoglimento, il contenimento delle emozioni, l’empatia, tipico delle psicoterapie. I
due approcci non sono sovrapponibili ma complementari. Ciascun sistema ammette
simultaneamente due modi di descrizione non riducibili l’uno all’altro. Va
sottolineata la specificità della coppia oggetto osservato – osservatore. Quest’ultimo,
inevitabilmente, seleziona gli oggetti da osservare escludendone altri seguendo certe
regole. Il soggetto osservante fa parte del campo di osservazione perché produce una
modificazione del campo osservato, con buona pace dell’oggettività. Questi principi
sono validi nel campo dello studio della mente, ma non solo, la fisica subatomica ne è
una prova. D’altra parte sarebbe improprio interpellare i neuroni su concetti come
giustizia, libertà, politica, né più in generale cercare i significati delle cose, né
l’intenzionalità della mente. Queste considerazioni vogliono distinguere le modalità
diverse di procedere nella conoscenza che l’intervista di Corbellini non sembra
considerare. Non si nega qui che certe acquisizioni derivate dalle neuroscienze non
modifichino alcune credenze delle psicoterapie.
Fino qui abbiamo considerato i fondamenti su cui si basano le psicoterapie in
generale e la differenza con le neuroscienze: due vie epistemologiche diverse e un
oggetto della ricerca ontologicamente unico (la mente). Ma la psicoanalisi? Le
psicoterapie non psicodinamiche si pongono di fronte al paziente con atteggiamento
oggettivante, quello appunto della scienza. Prescrivono o indicano compiti e modalità
diverse di pensiero e di comportamento mostrando per es. fraintendimenti ed errori
cognitivi (non escludo che in alcune patologie non possano essere utili). La
psicoanalisi e le derivate psicoterapie psicoanalitiche tendono a costruire una
relazione in un setting protetto, nella quale il paziente si senta libero di esprimersi
senza sentirsi giudicato e in grado di attivare un processo di cambiamento. Il
problema della discussa “scientificità” deriva dal fatto che si forma una nuova
relazione a cui partecipa attivamente anche l’analista. Così pur rispettando alcune
regole comuni all’esercizio della psicoanalisi ogni terapia è anche unica e irripetibile.
All’interno di questa relazione non solo trovano posto i racconti del paziente favoriti
da un senso di fiducia e sicurezza, ma compaiono anche gli elementi disfunzionali
che il paziente si porta dentro: disfunzionali dell’immagine di sé, dei rapporti con gli
altri, nei confronti della vita stessa. Queste alterazioni emotive e cognitive (i due
fattori non possono essere disgiunti) sono causa di malessere e sofferenza, che sono
poi i motivi per i quali un soggetto cerca aiuto. Questi elementi distorsivi sono
trasferiti anche sulla figura dell’analista che può mostrarli, nella loro disfunzionalità,
al paziente “in statu nascendi”; in termini tecnici il “transfert”.
Chi si occupa di psicoanalisi crede che gli episodi significativi della vita antecedenti
condizionino la percezione e il vissuto di quelli successivi, particolarmente quando si
riferiscono all’infanzia, epoca in cui si vanno sviluppando le strutture cerebrali e si
vanno costruendo le basi della personalità di un soggetto. Oggi, proprio attraverso le
neuroscienze e l’epigenetica, queste convinzioni sostenute da sempre dalla
psicoanalisi hanno trovato riscontri oggettivi. L’analisi dei vissuti non tende a
cambiare la sostanza degli eventi stessi (come una lettura ingenua di certi film del
passato mostravano) ma è la loro interpretazione. La rilettura attraverso la quale
assumono un nuovo senso e significato. Proprio attraverso le nuove acquisizioni di
senso e il lavoro di elaborazione si modificano nell’analizzato, l’immagine di sé, le
relazioni con gli altri e con la società in generale. Ciò che prima era costretto in
convinzioni e comportamenti angosciati, caotici o congelati in modalità irrigidite può
essere affrontato diversamente, con maggiore libertà e probabilità di successo. Una
buona psicoanalisi, modificando in una certa misura la personalità premette una
qualità di vita migliore rispetto alle condizioni di inizio. Proprio per questo
coinvolgimento dell’analista/terapeuta nella ri-costruzione della storia e nei
cambiamenti dell’identità di un soggetto è necessaria una approfondita analisi
personale durante il training formativo. Se scientificità e riproducibilità o
falsificabilità sono da intendersi assoluti e vincolanti allora si può dire che la
psicoanalisi non è del tutto scientifica ma questo non vuole dire che non sia un
metodo efficace di terapia/cambiamento. Forse l’unico che ha un’azione sulla
personalità di un individuo e non solo sui suoi sintomi.
Firenze 27/11/2019

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