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Rashomon e altri racconti

 

a cura di Lorenzo Gambacorta

 

 

tempo di lettura 2 minuti

 

Autore: Akutagawa Ryunosuke

Edizione originale: La ruota dentata e altri racconti, 1927

 Prima edizione italiana: Rashomon e altri racconti, 1983

 

I racconti di Akutagawa seguono un filo molto definito. I primi riprendono la tradizione giapponese, in particolare sono riproposizioni in chiave moderna di storie tratte da raccolte del XII e XIII secolo. Lo stile e la lingua sono eleganti, fluide, le storie come sospese fuori dal tempo, parabole di uomini e donne che si confondono con elementi sovrannaturali, quasi una sorta di realismo magico d’oriente. Eppure già in un racconto come Nel bosco si intravedono i primi passi di una crisi; affascinante storia breve da cui Kurosawa trasse il film Rashomon, racconta di un omicidio: ma all’interno ci sono a loro volta 4 racconti diversi, ognuno una testimonianza, che raccontano 4 verità diverse. L’ultima, è la verità del Racconto di uno spettro per bocca di una medium. Una “verità” che neanche appartiene a questo mondo. Cosi, attraverso una semplice e fascinosa affermazione dell’impossibilità di determinare il reale, Akutagawa afferma quanto sia impossibile identificarsi con qualcosa di realmente intimo, un’heimat, nel Giappone di inizio ‘900. Egli cerca di attaccarsi alla tradizione, ma questa gli sfugge di mano, non si fa più rielaborare in modo creativo, rischia di diventare leziosa. Intanto il mondo intorno cambia: la nazione si apre all’occidente, all’industria, a idee e valori prima inesistenti, talvolta provocando una scissione violentissima, conflitti insanabili. Allora la sua scrittura cambia, e da storie di uomini del Giappone che fu, Akutagawa si ritira a parlare di se stesso, come se ogni altra storia fosse impossibile. Lo fa con rabbia violenta, umiliandosi al punto di intitolare uno dei suoi ultimi racconti Vita di uno stolto, ovviamente riferito a se stesso. In questa che è una delle sue ultime, amare, memorie, sembra voler distruggere quella stessa tradizione culturale il cui suo unico vero intento era cercare di rinnovare e far sopravvivere, taccia ogni tradizione, dal matrimonio, ai funerali, alle abitudini quotidiane, di essere stupide, obsolete, trite e ottuse. Parla di se stesso in terza persona, come se si fosse definitivamente dissociato da ciò che intimamente era e sembra essersi frantumato in mille pezzi (non a caso il racconto è composto di tanti piccoli frammenti separati fra loro). Alla fine non rinuncia ad un’ultima tradizione: si suicida infatti a soli 35 anni nel 1927, poco tempo dopo aver completato gli ultimi racconti raccolti in Rashomon.

 

 

 

 

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