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Nick Cave – Ghosteen

e la musica come strumento catartico e terapeutico di elaborazione del lutto

a cura di Cosmo Pietro Ferraro

tempo di lettura 2 minuti

Artista: Nick Cave and The Bad Seeds

Etichetta: Bad Seed Ltd.

Anno: 2019, CD/LP

Genere: Ambient – Elettronica

 

 

We are fireflies a child has trapped in a jar”

Siamo lucciole che un bambino ha intrappolato in un barattolo”

Nick Cave – Fireflies

Abbandoniamo per una volta il mondo patinato del cinema, delle serie tv e quello della letteratura per immergerci in un’altra delle strutture che può prendere la scrittura, ovvero la forma canzone. Tra i miei ascolti soliti ho voluto scegliere Nick Cave, il Re Inkiostro, forse una delle figure mitologiche del rock e post-punk. L’uomo che è riuscito più di altri a mescolare il blues, il country ed il gospel con le atmosfere più cupe e gotiche della new wave e del rock. Cantante, autore, compositore, ma anche scrittore, sceneggiatore e attore. Nick Cave ha attraversato gli ultimi decenni della musica con testi scuri ma che brillavano di poesia e spiritualità utilizzando la sua musica per cantare i suoi demoni.

Senza dilungarmi vorrei concentrarmi sul suo ultimo lavoro, Ghosteen. La vita del cantante è stata segnata, tra le altre cose, da due eventi luttuosi e traumatici. La morte di suo padre quando lui aveva 21 anni, avvenuta mentre Nick era trattenuto dalla polizia a causa di un furto, e l’altrettanto tragica morte di suo figlio 15enne caduto da una scogliera. Qualche mese dopo uscì il suo album “Skeleton tree” che in tanti hanno visto collegato alla scomparsa del figlio Arthur, ma molte delle canzoni erano già state scritte mesi prima. È solo con “Ghosteen” però che il King Ink utilizza la sua arte come strumento catartico e terapeutico di elaborazione del lutto. Il pianoforte e le chitarre elettriche, che già stavano svanendo nell’album precedente, lasciano definitivamente spazio a sintetizzatori e loop elettronici. Tutto questo conferisce un’atmosfera eterea ed esoterica, accompagnata da cori gospel e dalla voce rotta del cantante che a tratti rimane sui soliti toni cupi e pesanti, mentre in altri si alza in un falsetto che suona come un pianto.

Ghosteen è uno spirito migratorio, la crasi di due parole (fantasma e ragazzo), che si muove all’interno dell’album diviso appunto in due parti legate da una spoken word. La prima parte, in accordo con quanto dichiarato dall’autore stesso, è quella dei bambini; la seconda quella dei genitori.

Nel primo brano (Spinning song) Cave sceglie di partire dalla caduta del Re del rock’n’roll, Elvis Presley. Ci muoviamo su un livello simbolico, quasi idealizzato quando questo poi prende l’immagine di Gesù (“A Jesus freak on the street says he is returning” – “Un fanatico di Gesù per strada dice che lui sta tornando”, Waiting for you; “my baby is coming home now” – “Il mio bambino sta tornando a casa ora”, Bright Horses). Ma in Night raid si scontra con gli aspetti più duri della realtà, entra in scena la coppia di genitori soli in una stanza d’albergo e la figura di Gesù morente poggiato sul grembo materno diventa un quadro sulla parete (“And Jesus lying in his mother’s arms just so up on the wall, just so” – “E Gesù giace tra le braccia di sua madre proprio lì sul muro, proprio così”). C’è una speranza però alla fine della prima parte, quella dell’amore e la sensazione di non essere soli. In Ghosteen speaks sembra essere il bambino a prendere la parola finalmente e rassicurare il padre, non più vecchi rocker ingrassati sul palco di Las Vegas ma una voce toccante gli si rivolge direttamente (“I am within you, you are within me/ I am beside you, you are beside me […] Look for me!” – “Io sono dentro te, tu sei dentro me/ Io sono affianco a te, tu sei affianco a me […] Cercami!”).

Al rientro nella seconda parte dell’album con Ghosteen ritroviamo la triade ricomposta nell’immagine di tre orsi che guardano la tv. Il pezzo è struggente, lo Spirito danza tra i versi e nelle parole del cantante, sentiamo chiaramente tutto il dolore ed il senso di impotenza di chi rimane e sopravvive al lutto. Papà orso galleggia e la madre sul retro a lavare i vestiti del figlio (“You’re sitting on the bed, smoking and shaking your head/ Well, there’s nothing wrong with loving things that can’t even stand” – “Stai seduto sul letto, fumando e scuotendo la testa/ Bene, non c’è niente di male ad amare cose che non possono nemmeno esserci”). Nell’ultimo pezzo, Hollywood, Nick Cave corre verso la costa per poter lasciar andare sulla spiaggia un bambino verso il cielo, tutto intorno un’atmosfera apocalittica abitata da animali selvaggi e creature marine che risalgono dall’oceano. Ed è qui che viene inserito il racconto di Kisa e del suo figlio malato, intensa storia tradizionale buddista sull’elaborazione del lutto e l’accettazione della morte (“Everybody is losing someone […] It’s a long way to find peace of mind” – “Tutti stanno perdendo qualcuno […] È un lungo cammino per trovare la pace della mente”).

Altri cantanti hanno affrontato il tema della morte e del lutto nelle loro opere, come Lou Reed con Magic and Loss o David Bowie con Blackstar, il suo canto del cigno. Solo Nick Cave però è riuscito a comporre una preghiera che ha una forza salvifica, non solo testimonianza di un percorso doloroso ma anche strumento di conforto per chi potrà riconoscersi in esso.

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