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Mi chiamo Francesco Totti

Nessuna strada esce da Roma

a cura di Luca Ricci

tempo di lettura 2 minuti

Regista: Alex Infascelli

Anno: 2020

Produzione: Italia

 

 

Vabbeh. Un documentario su un grande calciatore. Gli esordi, l’ascesa, la vita sentimentale, la consacrazione alla Roma e alla storia del calcio. È effettivamente una visione piatta, celebrativa, “coatta” (con il chiaro intento di non sembrarlo), senza troppi pensieri o riflessioni. Ci prova, qualche volta. Ci sono delle piccole frasi a effetto, delle massime o dei motti saggi. Ma non ci riesce… o si? Perché scrivere di un documentario su un calciatore? Perché penso che non si parli del calciatore, perché quello che viene mostrato è solo l’esito di un processo di psicologia dei gruppi; un gruppo che cerca un leader, lo trova, lo assimila come parte della propria storia.

La biografia di Francesco Totti è l’apologia velata di un grandissimo calciatore che è diventato simbolo di una città, che ne è diventato parte monumentale. Il documentario, infatti, ha come figura quella di Totti che però diviene se stessa solamente grazie allo sfondo della città di Roma e dei suoi cittadini. La città e i tifosi sono i veri protagonisti: plasmano Totti sin dalla giovane età, con i cori, gli striscioni, l’odio per la Lazio, l’incoronazione del precedente capitano Giannini a Imperatore della città. “Nessun capitano dopo di lui” echeggia dagli spalti. Non è vero, ce ne sarà un altro. Elaborato il lutto, con la rabbia che si riversa verso la Società calcistica per gli scarsi risultati, il gruppo-tifo sembra produrre con le sue aspettative, la sua dipendenza, un nuovo leader. Come l’Es finanzia il sogno con le sue spinte, la tifoseria (ma si può dire un’anima della Città che nella tifoseria viene espressa) con la sua attesa messianica, produce un nuovo capitano. Totti è proprio lì a raccogliere quello che la sua Roma chiede, quello che gli ha sempre chiesto attraverso i cori quando giocava da bambino e che lui attende da sempre. Con lo spirito di un leader, non si spaventa e raccoglie il bisogno di dipendenza del gruppo. Li raccoglie al punto che vince lo scudetto. Al punto che vince un Mondiale. Nel suo racconto dello scudetto, emerge la gioia per vedere i romani felici. È felice anche lui di poter dare alla sua Città una gloria. Sembra felice di salvarla, come se lui fosse nato per quello. Forse nato no, ma cresciuto non è da escludere.

Anche la vita privata è faccenda romana. Il Re si sposa e i testimoni devono essere i tifosi, tutti. Riuniti lì per festeggiare, ma anche per controllare. Radunati per il loro bisogno di sapere che non vengono traditi, ma anche per dare sollievo al Capitano facendogli sentire che non ha tradito. I moltissimi e spettacolari gol che intervallano le vicende private sottolineano come non ci deve dimenticare che il Re è il Capitano di una squadra, che è il più forte del mondo e che nessuno lo può avere.

Totti raccoglie il peso del messia che i tifosi urlano al punto che rimane per sempre alla Roma. Nonostante le offerte allettanti che gli vengono fatte dai club stranieri, lui rimane nella città della quale ha raccolto le aspirazioni, le speranze, il bisogno. Perché, in fondo, quel bisogno è reciproco, complementare. In questo, si vede il vincolo del leader, una comunione che intesse bisogni personali e gruppali sin dall’infanzia, costruendo nel tempo una figura che potrà, un gorno, farsi carico delle speranze senza sottrarsi. Sacrificandosi.

Nessuna strada esce da Roma. Totti è i piedi di Roma, e Roma è ai suoi piedi. Ma, appunto, quei piedi sono fatti per fare gol, non per abbandonare Roma.

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