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Lost in Translation

Al di là dell”Edipo

a cura di Luca Ricci

tempo di lettura 2 minuti

Regista: Sofia Coppola

Anno: 2003

Produzione: Stati Uniti d’America, Giappone

 

«Più conosci te stesso, e sai quello che vuoi, meno ti lasci travolgere dagli eventi»

(Bob a Charlotte)

L’Edipo c’entra. Ma c’entra talmente tanto che alla fine esce. Sofia Coppola accarezza con uno sguardo discreto la delicatezza dell’incontro profondo e vivo con l’altro e con se stessi.

Tokio. Bob è un attore in là con l’età, ormai demotivato, che è stato scritturato per una pubblicità di whisky giapponese. Charlotte è una neolaureata che ha seguito in Giappone il fidanzato fotografo famoso. Sia Bob che Charlotte vivono una quotidianità distante, come se il mondo fosse diventato intraducibile, fatto di legami distanti. Entrambi cercano qualcosa, uno sguardo che parli con parole comprensibili, qualcuno che parli la stessa lingua affettiva. Trascurata dal fidanzato, Charlotte frequenta il bar sempre aperto dell’Hotel, dove incontra Bob. Sembrano riconoscersi. Ormai sull’orlo del crollo depressivo e dello smarrimento di sé, l’attore fa mostra della sua brillante difesa cinica e sarcastica. Ma tra le parole, passa il linguaggio universale della ricerca di comprensione. E Charlotte lo parla. È timido lo sguardo di Sofia Coppola quando i due cominciano a cercarsi, è discreto quando parlano sdraiati sul letto degli affanni di due vite così distanti, per temporalità e inclinazione. È uno sguardo emozionato nelle serate in giro per i locali di Tokio, fra karaoke, luci a led e corse per strada. È intimo, quando i due si guardano riconoscendosi senza bisogno di traduzione.

Bob e Charlotte non passano tutto il tempo insieme. Bob deve lavorare; Charlotte visitare il Giappone. Ma la loro vicinanza è resa palpabile proprio dal loro tenersi a mente. Nelle battute della pubblicità “qualcosa” si perde nella traduzione; nei paesaggi e nell’architettura del Giappone che Charlotte visita “qualcosa” manca. Qualcosa viene “perso”. È qui che l’incontro dei due non può essere immediatamente (o solamente) tradotto con l’Edipo. Sofia Coppola, fa stridere i paesaggi e le luci della città con il silenzio interno, con l’atmosfera della tremenda attesa di una parola che il cuore e lo stomaco possano tradurre. La regista avvicina quell’amore allontanando le età dei personaggi. L’Edipo c’è, ma non è importante. Come diceva Charcot: “La Théoriec’est bonmais ҫa n’empêche pas d’exister”; traducendo, “La teoria è buona, ma non impedisce ai fatti di esistere”. Impalpabile e grave, “qualcosa” alberga tra i due, qualcosa che ha il sapore di un momento di insondabile importanza.

Bob e Charlotte parlano per capire se stessi, si guardano per ritrovare un contatto che sembra smarrito da tempo (forse da sempre). Esplorano la città insieme come se per la prima volta potessero esplorare sentimenti e riconoscimenti sconosciuti. Sentimenti che non solo divengono reali quando sono insieme, ma che delicatamente diventano conosciuti da sempre, naturali. Sono all’”unisono” nei silenzi che succedono a momenti di gioia o a riflessioni profonde. Le parole viaggiano dall’uno all’altro per trovare una eco, uno specchio e per tornare poi vestiti di spontaneità e leggerezza. Nulla viene “perso”, non c’è bisogno di traduzione. Insieme giocano il gioco dell’illusione di non separarsi mai, di aver trovato l’Altro che non è alterità. I giochi, però, finiscono. Le illusioni si rarefanno nel frastuono della realtà.

È allora che c’è bisogno della parola che separa, che dice cosa è stato. Bob e Charlotte, padre e figlia, amici e platonici amanti dilatano il tempo della separazione con silenzi diversi, sguardi lontani e carichi di sentimento. Straziano i loro dialoghi con latenti gelosie e rabbie. Ma è proprio in quei sentimenti che l’altro diviene Altro, e il Sè riabbraccia i suoi limiti. Adesso guardano la nudità del loro incontro, cercando nuove vesti per la propria vita. Perché ora sono vivi, forse per la prima volta. L’uno nell’altra hanno trovato un’incubatrice per il proprio Sé, un dizionario col quale tradurre il proprio senso di vita. Non si tratta di Laio o di Electra… non ha importanza. L’amore è un silenzio che non si può tradurre.

 

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