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Le tre stimmate di Palmer Eldritch

 

a cura di Lorenzo Gambacorta

 

 

tempo di lettura 2 minuti

 

Autore: Philip K. Dick

Edizione originale: Doubleday, 1965

Edizione italiana: Libra editrice, 1970

 

“..capirete che anche per me una simile affermazione è di per sé sconcertante. Molti sostengono di ricordare una vita passata, ma io sostengo di ricordare un’altra, diversissima, vita presente. Che io sappia, nessuno ha mai affermato una cosa del genere, ma ho il sospetto di non essere l’unico ad aver fatto questo tipo di esperienza. Ciò che è unico è la mia disponibilità a parlarne.” (Philip K. Dick, 1977)

Philip K. Dick, come scrittore di fantascienza, rimase sopratutto noto per aver scritto diversi testi che furono poi resi film. Il più celebre di questi film rimane Blade Runner, tratto dal romanzo Cacciatore di androidi. Nonostante Blade Runner rimanga uno dei capolavori della cinematografia di fantascienza, né quello, né nessun altro dei film tratti dai suoi scritti cercano davvero di allinearsi al suo immaginario, cosi contorto e assurdo da essere spesso difficile a leggersi. Ciò che interessa a Dick è fondamentalmente che cosa può esser definito realtà. Il reale e l’immaginario, il concatenarsi di mondi, interni e esterni, sono temi che emergono costantemente non risolvendo mai il conflitto fra soggettivo e oggettivo. In le tre stimmate di Palmer Eldritch Dick si immagina un mondo in cui fra i coloni marziani circola una droga, il Can-D, che con l’aiuto di un plastico composto di personaggi stile Barbie proietta chi la usa in un mondo altro dove il soggetto si identifica con i manichini rappresentanti un’umanità perfetta e felice. Cosi i coloni sopravvivono a una realtà di stenti. Poi esce allo scoperto un misterioso imprenditore, Palmer Eldritch. Egli è più un cyborg che un uomo, ha denti metallici, una protesi al posto della mano e occhi artificiali. Porta sul mercato un’altra droga, il Chew-z, che fa molto di più: senza bisogno di simulacri permette a chi la usa di entrare in un’altra realtà, dove tempo e spazio hanno regole proprie, anni e anni possono valere un secondo reale, tutto può essere possibile. Dopo poco emerge il piano di Eldritch. Egli ha in mente un’invasione, o per meglio dire una colonizzazione. Chi usa il Chew-z infatti entra sotto il suo controllo mentale, e tale controllo assume la forma anche fisica di imprimere le sue tre “stimmate” meccaniche. Sorta di metafora di un delirio, dove si mischiano bizzarri elementi tratti tanto dalla cultura bassa quanto da una sorta di rappresentazione messianica del personaggio di Eldritch, Dick sembra rappresentare una mente che perde i confini dell’io e si fa invadere da un personaggio che ha i tratti minacciosi e perturbanti di una sorta di Cristo impalpabile e subdolo. Nella conclusione, la storia sembra tornare da dove è partita, un circolo senza fine in cui si è dissolto il confine fra reale ed irreale. Tutto rigira su se stesso all’infinito senza che ci siano più le coordinate per giudicare se ciò che viene rappresentato fa parte della descrizione di un mondo esterno o è pura illusione. Ciò che affascina di più è anche l’aspetto più inquietante: la confusione irrisolta di piani del reale è la stessa confusione che non ha mai abbandonato l’autore, costretto al ripetere infinito di una ricerca spossante di una realtà che non fosse equivocabile, senza mai davvero trovare una risposta.

 

 

 

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