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Il gioco di Gerald

Il trauma e il doppio lavoro del negativo di Green

a cura di Cosmo Pietro Ferraro

tempo di lettura 2 minuti

Regia: Mike Flanagan

Produzione: USA

Anno: 2017

 

Mike Flanagan dirige pregevolmente la trasposizione cinematografica dell’omonimo film di Stephen King. Uno dei suoi libri più ‘femministi’ in cui lo scrittore si avventura in un viaggio onirico di introspezione psicologica. Il regista non delude le aspettative e porta sullo schermo un film ben riuscito, intenso, attraverso l’inconscio della protagonista alle prese con i fantasmi del passato mentre lotta coraggiosamente tra la vita e la morte.

Gerald e Jessie sono una coppia borghese che decide di passare il fine settimana nella casa al lago per cercare di risollevare il loro legame matrimoniale. La donna decide di concedersi alle fantasie perverse di violenza sessuale di suo marito che in realtà soffre di impotenza. Cade presto l’immagine dell’imprenditore di successo a bordo della sua auto da corsa rosso fiammante che sottolinea ancora di più la discordanza tra la sua immagine e la sua reale potenza sessuale. Gerald, appunto, trova piacere e godimento solo nel momento in cui può mettere in atto le sue fantasie di controllo e prevaricazione.

Il cuore dell’uomo però non regge al micidiale cocktail di viagra, alcol ed eccitazione e nel momento in cui viene rifiutato dalla donna appena ammanettata al letto cade a terra inerme e senza vita.

La protagonista assoluta della storia allora diventa Jessie. Una persona per la quale nutriamo da subito simpatia e che appare effettivamente sottomessa e devota al suo uomo, pronta ad accontentarlo anche nelle sue fantasie più disturbanti. Legata al letto e senza nessun tipo di aiuto dovrà trovare il modo di salvarsi, passando attraverso un doloroso percorso introspettivo tra angosce e ricordi del passato.

La situazione è drammatica. È difficile rimanere lucidi. Il confine tra realtà e immaginazione diventa labile fino a strapparsi rendendo difficile riconoscere la differenza tra una e l’altra. La stanza viene popolata da personaggi, animali, emozioni, proiezioni forse reali o forse no. L’uomo a terra immobile in una pozza di sangue, lei che può solo intravederlo bloccata nella sua posizione e un cane randagio che sembra un guardiano minaccioso in attesa che il tempo passi, inevitabile, verso la fine.

Una veloce analisi della situazione, giusto il tempo di capire che nessuno potrà correre in suo aiuto e salvarla, e quello che rimane è solo confrontarsi con se stessa. Con i suoi fantasmi che assumono facce e ruoli diversi. Qualcosa riaffiora dal passato, Jessie è una donna traumatizzata, viene da una famiglia invischiata e ha lasciato qualche maceria alle sue spalle.

Tutto ricorda un percorso terapeutico condotto all’interno della stanza d’analisi (anche se non sempre costringiamo i pazienti al lettino con la forza!): c’è la stanza, ci sono i ricordi d’infanzia, i sogni, i personaggi del campo analitico, e perfino le libere associazioni ovvero idee apparentemente bizzarre dalle quali Jessie trova suggerimenti su ciò che è meglio fare per salvarsi!

Il dialogo continuo tra Jessie e i suoi personaggi, oggetti idealizzati e introiettati che arrivano dalle sue relazioni primarie, ricorda il doppio lavoro del negativo teorizzato da Green. L’insieme di difese primarie di rimozione, negazione e forclusione da una parte consentono a Jessie di difenderla da vissuti pericolosi, dall’altra non ne consentono una corretta elaborazione. Allo stesso tempo diventano lo spazio all’interno del quale vengono depositate tutte quelle esperienze che hanno avuto luogo nell’infanzia di Jessie, ma che lei non ha realmente vissuto. La rappresentazione interna svanisce lasciando spazio ad una allucinazione negativa e distruttiva dell’oggetto.

Il trauma subito dalla piccola Jessie era troppo per un Io immaturo non ancora in grado di integrarlo nelle esperienze della bambina lasciando delle tracce nello sviluppo della sua vita psichica, rimanendo così esperienze non riconosciute, vittime della rimozione. Dolorosamente questo diventa il momento in cui per la prima volta Jessie riesce ad affrontare e pensare questi vissuti da troppo tempo sotterrati e tenuti nascosti alla coscienza. Ricostruirne un senso e dargli significato. Allora, e solo allora, potrà rinascere come una donna nuova, anche se ora le sue ferite sono “visibili”, e affrontare i suoi fantasmi guardandoli in faccia. Alla luce del sole, anche davanti ad una giuria.

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