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Dogman

 

Individuazione, integrazione e perdita di moralità nella società moderna

 

 

a cura di Cosmo Pietro Ferraro

 

tempo di lettura 2 minuti

 

Regia: Matteo Garrone

Produzione: Italia, Francia

Anno: 2018

Il delitto del Canaro. È il nome con il quale la stampa aveva identificato uno dei delitti più brutali della storia italiana ad opera di un apparentemente mite uomo che lavorava in una toeletteria per cani nella periferia romana. Quest’ultimo aveva torturato e seviziato fino alla morte un ex pugile, con il quale era stato complice di una rapina e dal quale aveva ricevuto continue minacce.

Da questa vicenda Matteo Garrone ha preso spunto per la scrittura del suo film Dogman. Non è la prima volta che il regista italiano parte dalla rilettura di fatti di cronaca per fornirci una sua visione dell’uomo e della società in cui vive. La stessa cosa infatti gli era riuscita con L’imbalsamatore, film del 2002. In entrambi i casi l’effetto è potente e fortemente comunicativo.

Come già accennato, la storia del Canaro è solo il punto di partenza attorno al quale Garrone mette in scena tutto l’abbrutimento e la mancanza di valori della società moderna. È una visione nichilistica, non c’è spazio per la Bellezza e la salvezza per l’uomo che abita le scene di Dogman. La scenografia, i luoghi scelti e l’architettura già ci raccontano molto in tal senso, grazie alla potenza evocativa delle immagini e della fotografia. Sembra un non-luogo arido fatto di grandi spazi e palazzoni grigi in lontananza. Vissuto da individui soli e isolati che tentano inutilmente di fare gruppo solo per difendersi da un destino di sopraffazione perpetuato da Simone, delinquente della zona che terrorizza tutti con i suoi comportamenti imprevedibili e sopra le righe. Non c’è spazio per gli affetti e l’affettività, tutto è regolato solo e soltanto dalla legge della sopravvivenza e del più forte. Qui dove regna l’inaridimento dell’anima ci può essere solo mancanza di moralità e violenza. In una società così disegnata non c’è spazio per il riscatto sociale, per la ricerca della felicità o anche solo di una speranza per il futuro.

Ed è proprio qui che nasce e vive la sua vita Marcello, il protagonista del film, secco e arido anche nella sua fisiognomica, al contrario di Simone. Ci prova Marcello a salvarsi attraverso gli occhi di sua figlia ed al sogno di portarla alle Maldive. Un Sogno che non può permettersi, così brillante da accecarlo forse alla fine. Anche in questo contesto è certamente lui l’attore principale delle proprie scelte, che la maggior parte delle volte sono sbagliate, ma che in fondo noi non ci sentiamo di biasimare. Sceglie Simone come suo alter ego, la sua antitesi. Attraverso di lui sogna il riscatto, i soldi e quella porta d’accesso a mondi che a uno come lui sono preclusi per principio. Per farlo sceglie di tradire il gruppo dei commercianti della zona con i quali Marcello gioca a calcio e attraversa la vita di tutti i giorni.

Non abbiamo molte notizie su Marcello ma possiamo immaginare come la vita lo stia schiacciando e lui non abbia le spalle forti abbastanza per sostenerla. Costantemente fuori contesto, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tutte le sue azioni sono goffe come quando sistema il pelo di un cane con la lacca o lima le unghie di un molosso di 100kg. Solo sott’acqua, in quella atmosfera ovattata e senza il peso della gravità, Marcello riesce a muoversi con disinvoltura insieme a sua figlia contemplando la bellezza del mondo sommerso e dimenticando le brutture della superficie.

Il rapporto che ha con i cani rispecchia il modo che ha di approcciarsi alla vita. Solo in questo modo riesce a prendersi cura della sua parte più istintuale e delle emozioni più primitive. Le controlla ma le accudisce e lo fa quasi in maniera infantile quando lo vediamo riferirsi a loro. E sono ancora i cani che assistono a tutti gli episodi di vita in cui si trova coinvolto fino a condurlo in un vortice di droga e violenza.

Marcello ha sempre pensato di trovare in Simone la via preferenziale per affrancarsi dal mondo che lo circonda. Quando alla fine capirà che la chiave per il completamento del suo processo di individuazione si trova nel farsi accettare dal gruppo e sentirsi parte di una comunità sarà ormai troppo tardi. Il corpo della vittima sacrificale scelta nel suo personale rito di purificazione non verrà accettata dagli Dei.

 

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