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Burning – L’amore brucia

Reale, realtà o immaginazione? Il senso di vuoto e alienazione nella società moderna

a cura di Cosmo Pietro Ferraro

tempo di lettura 2 minuti

Regia: Lee Chang-dong

Produzione: Corea del Sud

Anno: 2018

 

Lee Chang-dong, regista, scrittore e politico sudcoreano, frequenta da tempo i salotti buoni della critica cinematografica. Già vincitore a Cannes con Poetry (2010) per la miglior sceneggiatura, vi è ritornato otto anni dopo con Burning. Trasposizione cinematografica di un racconto breve (“Granai incendiati”) di Haruki Murakami, autore di culto giapponese. Ne viene fuori un film ipnotico e misterioso, caratterizzato da una potenza espressiva coinvolgente. Ha la capacità di aprire numerose domande, alle quali però non lascia facili risposte, se non quelle relative alle tante interpretazioni di chi guarda.

L’occhio del regista gira attorno alle vite di tre giovani. Jong-su viene attirato dal canto di una moderna sirena orientale in minigonna che gli regala un numero fortunato per una lotteria di strada. Lei è Hae-mi, giovane donna misteriosa che sarà il fulcro di tutta la storia, anche e soprattutto nel momento in cui per qualche motivo sparirà dalla scena. È sempre lei ad introdurre Ben, conosciuto durante un viaggio. Misterioso Gatsby, ricco narciso e annoiato. L’opposto di Jong-su, aspirante scrittore che cerca di riparare ai danni del padre ora in prigione con l’accusa di aggressione, curare la casa e gli animali in campagna, trovare qualche lavoretto per arrivare alla fine del mese. Il legame tra loro due è appunto Hae-mi, giovane insoddisfatta del suo lavoro che ama viaggiare e studia pantomima, l’arte di immaginare come reali cose che non esistono (“Non devi immaginare che l’arancia sia qui, ma dimenticare che non è lì”, dirà a Jong-su).

Qui le cose si complicano. Il confine fra reale, realtà ed immaginazione diventa sempre più labile e confuso. Hae-mi ha un gatto che non si fa vedere dagli altri (reale o immaginario?) e di lui si dovrà occupare Jong-su mentre la ragazza sarà via. Così ha accesso a casa sua, una sola stanza piccola e disordinata che diventa un nuovo punto di partenza per lui. Un punto d’inizio per la scrittura del suo romanzo. Mano a mano che si sviluppa la narrazione di Jong-su la camera diventa più scarna e ordinata. Da lì osserva gli alti grattacieli del centro di Seoul e si masturba pensando a ciò che potrebbe possedere. I tre protagonisti non sembrano avere nulla in comune se non quel senso di vuoto, noia e alienazione figlio dell’età moderna. La “grande fame” che Hae-mi cerca nei Boscimani durante il suo viaggio non è altro che la ricerca di un senso per la propria vita che loro ripercorrono alla ricerca di sensazioni forti (“come un basso che risuona fino alle ossa”), viaggi avventurosi o fuochi che divampano, come per paura di un crollo che forse è già avvenuto. È avvenuto quando durante le cene e le feste nei locali glamour (vita che Hae-mi e Jong-su tanto bramano) Ben sbadiglia guardando l’orologio. O quando Hae-mi si addormenta sul tavolo del ristorante mentre racconta le fantastiche avventure vissute in terre lontane appena tornata dall’Africa. Lei che vorrebbe viaggiare ed andare fino a “lì dove finisce il mondo”.

Presto per Jong-su lei diventerà il ponte per raggiungere il mondo borghese del ricco Ben. All’inizio i due possono godere solo della luce riflessa dai vetri della torre dell’osservatorio sulla collina più alta della città. Tanto che, mentre fanno l’amore, lui sembra più preso dalla luce sul muro che dalla donna che sta abbracciando. Ben invece può accompagnarli passando dalla porta principale ed è per questo che, dopo la gelosia iniziale, per Jong-su diventa un punto di riferimento quasi morboso. Purtroppo, come spesso accade nella società odierna, questo senso di vuoto e alienazione si trasforma presto in una forza confusa e rabbiosa. Nella lotta di classe contro i “troppi Gatsby” che vivono a Seoul; contro Hae-mi, colpevole di lasciarsi adulare troppo facilmente dal fascino di Ben; e contro quest’ultimo, responsabile di avergli portato via le attenzioni di Hae-mi.

È un film sull’assenza e sul vuoto. E sul tentativo di questi giovani di riempirlo con la ricerca della verità (o di una verità). Come nel migliore cinema di Antonioni reale e realtà si fondono e confondono e l’immaginazione, nella narrazione, assume un ruolo potente e generativo.

Ad un certo punto il film vira anche registro cinematografico passando al noir quando l’assenza diventa oggettiva agli occhi dello spettatore nel momento in cui scompare uno dei tre personaggi principali. Quello che accadrà dopo è da scoprire, o immaginare.

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