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Anna

e la memoria del futuro 

a cura di Cosmo Pietro Ferraro

 

tempo di lettura 2 minuti

 

Regia: Niccolò Ammaniti

Produzione: Italia, Francia

Anno: 2021 

Niccolò Ammaniti si rimette per la seconda volta dietro la cinepresa (dopo Il miracolo, 2018) partendo dalle pagine di Anna, libro pubblicato da Einaudi nel 2015. L’adattamento televisivo che ne viene fuori è un prodotto di assoluta qualità, una miniserie di sei puntate angosciosa e commovente con degli inquietanti rimandi all’odierna situazione pandemica. Anna infatti è una ragazzina di 14 anni che vive insieme al suo piccolo fratello Astor in una Sicilia post apocalittica dilaniata da un virus letale che colpisce le vie respiratorie uccidendo tutti gli adulti. Già, perché il virus conosciuto come “La Rossa” rimane latente durante tutta l’infanzia per manifestarsi mortalmente a partire dall’adolescenza. Il risultato è un mondo in cui sono scomparsi tutti gli adulti e nel quale i bambini sono costretti a sopravvivere senza di loro, organizzandosi come meglio possono. Anna cerca di proteggere il piccolo Astor confinandolo nei limiti della villa in cui abitano perché non affronti la dura realtà esterna. Ma il bambino verrà rapito da una banda di ragazzini, così entrambi dovranno guardare in faccia il Male e affrontare un viaggio doloroso e pieno di insidie.

La storia di Anna è un viaggio di scoperta e di crescita, della paura di crescere, che in questo mondo infatti la porta inevitabilmente verso la morte. In questo senso potremmo intravedere i fantasmi della fase prepubere di un adolescente fatta di lutti, di perdite (anche fisiche, più che mai per quanto riguarda la storia di Anna), dell’incontro con l’Altro e di forti passioni.

Ma cosa succede ad un mondo abitato solo da bambini e preadolescenti? Un mondo dove una terribile malattia ha spazzato via la parte adulta fatta di regole ma anche portatrice di forza generativa?

I bambini di Ammaniti non hanno futuro e poggiano su un passato disastroso. Per questo il presente assume ancora più forza e così sopravvivono giorno per giorno senza limiti contenitivi. Ma anche la mancanza di regole è una regola, come dice Nucci il proprietario dell’Etna ad Anna e Pietro, suo nuovo cinico amico. Allora i ragazzi, soli o in compagnia, si organizzano in microsistemi che seguono un’etica personale di prevaricazione che in qualche modo restituisce un senso a quello che gli accade intorno. Un po’ come nei protagonisti del quadro di Bruegel, Giochi di Bambin, non c’è piacevolezza nelle loro attività ludiche ma tutto, senza valori di riferimento, diventa vuoto. Mera ripetizione. Sono bambini perversi polimorfi, come asseriva Freud, che senza il controllo superegoico degli adulti che li definiscono perdono la piacevolezza erotica del rapporto con l’Altro. Allora si riuniscono in organizzazioni tribali, divisi per colori come squadre di calcio che li rendono tutti uguali perdendo le loro caratteristiche di individualità, legati da un codice pop moderno. I Blu infatti vengono guidati dalla crudele Angelica che promette la salvezza guidando i suoi adepti attraverso norme di accettazione da reality show. “Tu hai l’XFactor” dirà Angelica ad Anna durante un peculiare rito di iniziazione. Anche le fiabe perdono di senso e vengono rivoltate, succede così che Biancaneve, Cappuccetto Rosso e Cenerentola diventano le tre fiere che accolgono Anna all’ingresso del suo personale Inferno.

Spostando allora l’ottica da un primissimo piano intersoggettivo ad un grandangolo sociale possiamo ritrovare l’allegoria della nostra società post-ideologica e priva di sovrastrutture. Nel momento in cui ci si trova in una mancanza di sovrastrutture e punti di riferimento diventa necessario inventarsi nuove identità e spesso questa ricerca di senso nell’idealizzazione e nell’idolatria. Nell’attesa messianica dell’Uomo forte che ci possa salvare e questo mi pare essere un meccanismo comune sia a livello politico che sociale. Nel caso di Anna troviamo Angelica e la Picciridduna, l’unica adulta che non ha sviluppato la malattia e che per questo viene insignita di poteri salvifici e taumaturgici. In questo mondo dove per forza di cose la sessualità viene negata perché non appartiene alla possibilità di Vita su questa terra l’unica salvezza è quella di poter baciare la Picciridduna. Possibilità che ovviamente non può essere concessa a tutti.

In un mondo anarchico, violento e mortifero Anna (ed il suo amore per Astor) rappresentano però una luce di speranza perché al contrario degli altri personaggi che incontriamo durante il suo viaggio sono i soli ad avere interiorizzato un genitore vivo. La mamma dei due infatti ha creato per i due piccoli figli una narrazione credibile e protettrice che li potesse accompagnare per il loro futuro senza di lei. In punto di morte riesce a scrivere per loro un manuale di sopravvivenza pratico ed emotivo “Il libro delle cose importanti” che contiene tutte le indicazioni perché loro possano sempre sapere cosa fare e vivere in sicurezza.

Come ha anche affermato il regista, la memoria tramandata alle nuove generazioni è la condizione necessaria per poter immaginare un futuro.

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