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Aliens  – Scontro finale

a cura di Lorenzo Gambacorta

tempo di lettura 2 minuti

Regista: James Cameron

Titolo originale: Aliens

Anno di uscita: 1986

Produzione: Stati Uniti d’America 

 

 

Aliens è il seguito di Alien, quest’ultimo il film del 1979 diretto da Ridley Scott unanimemente considerato uno dei capolavori della cinematografia di fantascienza.

La particolarità della saga introdotta da Scott è quella di partire da un soggetto originale, non ripreso da nessun libro (anche se vagamente collegato ad alcune pellicole più vecchie). Il film raccontava della terribile scoperta di uova aliene che davano vita a sorte di insetti capaci di incubare dentro gli esseri umani una creatura ancor più terribile, un mostro dall’aspetto perturbante, senza occhi, dalle forme sgraziate e pungenti, agile e minaccioso, che, per dirlo attraverso le parole dell’androide Ash, è “puro… non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità”. La scena della “nascita” dell’alieno dal corpo umano rimane visivamente sconvolgente, e sembra rappresentare la metafora di un qualcosa di sconosciuto e atroce che alberga in ogni essere umano. In altre parole, una sorta di rappresentazione dell’ES che tracima e distrugge ogni parvenza di logica. Interessante appunto è che in tutta la saga (oltre a questo sequel, altri due film cronologicamente successivi e 2 prequel), è fondamentale la figura dell’androide, appoggio agli umani e componente superegoica, iper razionale e controllante, che talvolta assume inquietanti forme persecutorie. L’altro aspetto originale dell’idea di Alien è che la protagonista, l’eroina, è una donna. Il tenente Ripley, impersonata da Sigourney Weaver, sembra rappresentare un materno che è l’unica possibilità di riconciliazione delle parti in lotta.

Aliens, appunto il seguito, parte dalla stessa metafora. Il conflitto fra le parti è il centro della vicenda, tant’è che il sottotitolo della versione italiana recitava: “questa volta è guerra”. Il pianeta dove erano state trovate le prime uova aliene infatti è stato colonizzato da “pionieri” spaziali umani, e le conseguenze sono state tragiche. Un gruppo di Marines è chiamato a salvare gli umani della colonia, e si appoggia a Ripley, la stessa protagonista del primo film, che ha già ha avuto a che fare con un alieno. Ma il gruppo si troverà ben presto assediato da un esercito di alieni nato dagli stessi ospiti umani. Non importa che i Marines, rappresentazione tanto dell’IO razionale quanto dell’America positivista e maniacale degli anni ‘80, siano iper-armati, cosi carichi di tecnologia che all’inizio del film, fra battute grevi e spavalde, sembrano sentirsi onnipotenti. Ben presto la razionalità sarà assediata dalle orrende presenze che in un modo o nell’altro riescono a trovare il modo di raggiungere il manipolo attraverso gli spazi nascosti della struttura/mente della colonia.

Il film però sonda ancor più in profondità del primo l’aspetto del materno. L’unica sopravvissuta della colonia infatti è una bambina, e Ripley se ne prenderà cura, affezionandosi profondamente, per assumere volutamente il ruolo di madre sostitutiva. Quando la bambina sarà rapita dagli alieni per essere incubata, Ripley da sola andrà a cercarla, per incrociare durante la fuga la tana della “regina” aliena, colei che cova le uova. Lo scontro fra le due madri è inevitabile, quando Ripley lo capisce, sa che l’unica cosa che può fare è distruggere la regina e tutte le sue uova. La madre razionale che vince su quella viscerale, istintuale. Ma in questo modo, Ripley non distruggerà comunque una parte di sé? (su questo aspetto sembrano convergere i successivi capitoli).

La magia di Cameron sta nell’aver creato una rappresentazione minuziosa e sovraccaricata. Maniacale anche nel montaggio, il film è serrato e senza tregua. Come se in ultima analisi dicesse attraverso la forma del suo discorso che si può solo fuggire dall’incontro con le proprie profondità inesplicabili. E come in altri suoi film (viene in mente Terminator ma anche lo stesso Titanic), Cameron riesce a trovare un equilibrio perfetto fra una narrazione stupefacente e un narrato più profondo di quanto non sembri in superficie. Creando un immaginario che allo stesso tempo riesce ad essere familiare e inafferrabile.

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