Psicoanalisi e Rock, sulle tracce del trauma – Vittorio Gonella

Recensioni LibriRubrica "Associamo"

Psicoanalisi e Rock, sulle tracce del trauma – Vittorio Gonella

 Psicoanalisi e Rock 

Sulle tracce del trauma

Alpes Editore, Roma, 2025

di Vittorio Gonella

Recensione a cura di Giorgia del Mese

Gli aspetti non verbali e pre-verbali hanno sempre ottenuto uno statuto di rilievo nella tecnica e nella clinica psicoanalitica, con una particolare attenzione e attrazione più recente verso gli aspetti sonoro-musicali della comunicazione inconscia. La voce del paziente e spesso nonostante l’attesa neutralità anche quella del terapeuta indicano previsioni delle turbolenze e della temperatura del mondo interno sorprendentemente intellegibili.

I parametri musicali di durata, timbro, velocità e intensità ci aiutano nella interpretazione dei significati e del senso della comunicazione che intendono veicolare. Pensiamo al suono dei passi di un paziente che entra in stanza, un suono interpretabile come un derivato dell’inconscio. I passi possono essere veloci per l’urgenza di avere un colloquio o per difendersi dall’angoscia, rallentati, esitanti, per la mancanza di un principio speranza o per la paura del crollo o della ripetizione, oppure morbidi e armonici quando la terapia ha raggiunto una statura rassicurante e non più traumatica. Un suono di passi da sognare perché non ancora sognato. Numerosi ed autorevoli sono stati gli studi e le pubblicazioni sul profondo intreccio tecnico ed epistemologico che lega la psicoanalisi al canale sonoro-musicale. L’elemento sonoro viene inteso come un principio organizzativo e fondante della funzione mentale a partire dal ruolo della voce materna nella vita intrauterina, ruolo strutturante per la nascita del Sé emergente.

Tradizionalmente sono tre gli aspetti tecnici ma allo stesso tempo consustanziali che accomunano in modo imprescindibile musica e psicoanalisi: l’ascolto, l’interpretazione e l’improvvisazione, ma aggiungerei anche la qualità del silenzio, la pulsazione interna e il significante delle pause. È nel solco di questa ricerca di contributi reciproci tra le due dimensioni che viene pubblicato l’interessante libro di Vittorio Gonella ”Psicoanalisi e Rock, sulle tracce del trauma”. Un libro immaginifico e audace che all’interno di una cornice creativa e fantastica fa incontrare come in un lungo viaggio onirico gli artisti protagonisti del rock inglese e statunitense degli 60’ e 70’ con la storia delle idee e le teorie dei maestri fondatori della psicoanalisi. Nove capitoli in cui l’autore ripercorre le vite dolenti e inquiete degli autori del rock, accomodandosi senza terrore ma con gratitudine nella loro area traumatica, come se si fosse trovato con loro nel “li e allora”.

Un espediente narrativo che non ripercorre solo in modo agiografico le biografie e le discografie degli artisti ma prova a rintracciare quanto la loro esperienza traumatica, che trova un holding nella musica e nella composizione creativa, sarebbe potuto evolvere in un diverso esito e destino se avesse incontrato la lettura psicoanalitica. Eppure il rock ha rappresentato per questi esploratori una possibilità insostituibile di rappresentatività del trauma, uno schermo proiettivo e contenitivo, una madre sintonizzata, per riuscire a trasformare il dolore, la frammentazione, la disorganizzazione in un suono strutturato da un senso.

Nella appassionata e sapiente introduzione al libro Anna Cordioli ci ricorda come abbiamo conosciuto originariamente un Freud “senza musica”, ma esclusivamente attento agli aspetti visivi e rappresentativi nella strutturazione di un modello di mente. Questo tentativo di forclusione dellamusica nel fondatore poteva essere giustificata dall’esigenza di tenere distinta e protetta la nascente psicoanalisi dalle teorie neo-kantiane e fenomenologiche. Aggiungo che forse per Freud l’ingresso del musicale nella stanza di analisi sarebbe potuto sembrare minaccioso per i suoi elementi pulsionali e non sempre addomesticabili, elementi pericolosi per una scienza ancora fragile e sotto attacco. Negli anni 50’ arriva poi Antonio Di Benedetto, lo psicoanalista che più ha esplorato la dimensione sonoro-musicale nel dispositivo analitico e che ha fatto irrompere sulla scena clinica uno degli elementi più dirompenti e illuminanti dell’ascolto psicoanalitico: la rêverie acustica, una forma di immaginazione sonora che arriva a rintracciare il somato-psichico degli stati primitivi dell’essere soggetto.

Mi sembra che Gonella proprio attraverso una forma di rêverie entri nelle stanze pubbliche e private di artisti come Beatles, Jim Morrison, Rolling Stones, Pink Floyd, e altri per poter raggiungere nei loro testi e nelle loro composizioni il dolore depressivo, le effrazioni originarie, i lutti mancati, le dipendenze, la pulsione di morte slegata dal principio di piacere. Una creatività che non sempre incontra l’area del gioco ma risulta privo, di spinta vitale e realizzazione di un sé autentico. Una intenzione proto-terapeutica riuscita a metà, o interminabile. Gonella racconta di Jim Morrison animato dal rimando di uno specchio fatto di successi e popolarità ma piegato e depauperato da una identità attraversata dalla angoscia della solitudine, da assenza di riconoscimento e validazione del suo essere soggetto, ricordi in après coup della mancata funzione di rispecchiamento primario. Una ferita narcisistica che porta in Morrison ad adottare una massiva difesa di scissione tra l’essere l’icona della ribellione ed un uomo in eterna adolescenza, accompagnato da una costante piaga aperta.

Nel capitolo dedicato ai Rolling Stones l’autore evidenzia la lotta, il dualismo tra Eros e Thanatos nella pubblicazione dell’opera Sticky fingers. Un passaggio evolutivo aveva profondamente segnato la realtà esterna e lo psichismo di molti protagonisti del rock ma della società intera. Da una visione estremamente idealizzata e onnipotente della funzione del rock e dell’uso di sostanze come l’alternativa antagonista di stare nel mondo borghese, che aveva avuto la sua epifania nel glorioso concerto di Woodstock, l’utopia si scontrò come in un breakdown, con l’esperienza del concerto di Altamont, concentrato di violenza e distruttività che sancì la fine di un’illusione, il rock aveva perso la sua verginità. I testi di Striki fingers contattavano l’angoscia dopo un periodo di transito in un uno stato ipomaniacale, testi e sonorità malinconici che tuttavia da un punto di vista evolutivo raggiungevano una posizione depressiva forse attesa. La storia dei Pink Floyd e in particolare del fondatore Roger Waters assume le caratteristiche di un lungo e lento avvicinamento al lavoro del lutto per la perdita di due compagni di viaggio e colleghi che rieditarono nell’autore le sofferenze per la morte del padre, che ancora una volta “a colpo battuto” si condensarono nel celebre disco “The dark side on the moon”, l’incosncio era lavoro.

E poi proseguendo nelle tenebre rassicuranti del viaggio onirico di Gonella incontriamo un Bob Dylan regredito e fragile, bisognoso, nonostante fosse all’apice del successo, di dialogare costantemente e telefonicamente, come in percorso psicoanalitico, con un suo mentore per essere non solo cullato ma anche decriptato del senso e significato di quanto scritto da lui ma non ancora raggiunto e maneggiato. Incontriamo Patty Smith nella sua aurea carismatica e ribelle che in una intervista immaginaria con uno psicoanalista capitola alla sua difesa aggressiva e intellettualizzante, per restituire umanità e verità alla sua arte ma soprattutto al suo essere nel mondo. E infine la musica di Bruce Springsteen come unità collante che attraversa un amore vissuto insieme, una morte insopportabile dell’amore, una dissociazione indispensabile per sopravvivere al trauma e infine una liberazione della vita, dell’ombra dell’oggetto che non ricade più sull’io.

Se pensiamo alla dimensione metapsicologica Gonnella offre di questi artisti la visione di vissuti che si muovono in una dinamica scomposta in cui è all’opera un Es irretibile, un Io e un Io ideale incapace di regolazione, ma allo stesso tempo un Super-Io cannibalico e mortifero. Certo sepensiamo a quegli anni, alla diffusione dell’eroina, alle lotte proletarie, al Vietnam, al terrorismo, era forse difficile tenersi insieme. Eppure Gonella li tiene tutti insieme in questo libro e restituisce in modo convincente la funzione traumatolitica della musica originariamente affidata al sogno. La musica come contenitore dove evacuare proto -emozioni che una volta che diventate forma-canzone iniziano ad essere digeribili come forma creativa, a diventare amore. Non credo che la creazione artistica musicale sia una forma di comunicazione intersoggettiva ma sia squisitamente interpsichica proprio come luogo di libere associazione per far fluire gli aspetti traumatici senza dover dire grazie a nessuno. Quello che ci restituisce l’autore in questo libro è anche il profondo transfert che gli artisti operano sull’oggetto musica, un oggetto vivifico e vivificante, luogo protetto dove poter immettere una proiezione delle esperienze passate ma anche e soprattutto la presentificazione di ciò che non si è ancora avverato.

La musica può salvare la vita, non sempre, ma lo fa.