Lamu. Beautiful Dreamer

Recensioni

Lamu. Beautiful Dreamer

 LAMÙ. BEAUTIFUL DREAMER

   a cura di Luca Ricci

tempo di lettura 2 minuti

Titolo originale: Urusei Yatsura ni – Byūtifuru Dorīmā

Creatrice: Rumiko Takahashi

Regia: Mamoru Oshii

Produzione: Giappone

Anno: 1984

Secondo lungometraggio animato della serie anime “Urusei Yatsura” (“Lamù” nella versione italiana), “Beautiful Dreamer” è un film che sembra indagare l’interstizio del movimento di passaggio dall’età preadolescenziale a quella adulta. Un film sulla permanenza delle fantasie infantili di dipendenza, del dominio del principio di piacere, della modalità inconscia di denegare e espellere ciò che reca dispiacere.

È l’ultimo giorno delle preparazioni per il festival studentesco al Liceo di Tomobiki. L’ultimo giorno di fatiche che sembra non giungere mai al termine. Un professore nota che quella vigilia non ha mai fine, che il festival studentesco non arriva al suo giorno di inizio. Il professore, dopo aver confidato questa sua sensazione, sparisce nell’indifferenza generale. Al liceo si continuano a ripetere i preparativi. Piano piano, tutta Tomobiki scompare. Resta solamente casa Moroboshi, dove la madre di Ataru cucina incessantemente per il gruppo di amici che lì si sono stabiliti: unica casa con acqua corrente, elettricità, viveri, e immune dal decadimento. Lamù, Ataru, Shinobu, Mendo e gli altri, accolgono inizialmente questa condizione senza tempo e realtà tra svago e riposo, tuffandosi dalla torre del liceo, ormai sommerso in un laghetto, scorrazzando sui pattini per le strade desertiche e anonime di quella che era la cittadina di Tomobiki. Una ripetizione di un giorno mai trascorso. Alcuni, però, chiedono una risposta; indagano, cercano, misurano, fanno esperimenti… scompaiono, come il professore.

Beautiful Dreamer, con la delicatezza dei fiori di ciliegio sembra voler mettere in scena l’interstizio del passaggio duro tra l’età infantile e l’era adulta. L’infanzia che ferma il tempo, un momento inconscio che si ripete e fa scomparire ogni pensiero razionale che può mettere in dubbio l’appagamento dei desideri. Tra giochi e qualche razionalizzazione tesa a giustificare la permanenza del processo primario, il film, come un sogno, sembra rappresentare attraverso i paesaggi, le scenografie, i dialoghi, i moti infantili imperituri. È infatti un film che tende a discostarsi, nel taglio, dalle atmosfere per lo più grottesche e ironiche della serie televisiva, e fa delle incursioni di sequenze oniriche la sua cifra. Accenna gentilmente a una dimensione sempre presente, regressiva, che tenta di negare la realtà della separazione, la crudeltà della realtà e del tempo, per rifugiarsi nel puro principio di piacere.