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Abbiamo proposto come primo articolo, per l’importanza del tema e l’originalità dell’approccio, il paper di Danielle Quinodoz che porta lo stesso titolo del suo ultimo libro “Le parole che toccano: una psicoanalista impara a parlare”. Lo scritto ne illustra i temi principali, fornendo indicazioni molto chiare sul piano clinico-terapeutico. Come raggiungere un paziente? Soprattutto quando si tratta di quel tipo particolare di pazienti che la Quinodoz chiama “eterogenei”, provvisti cioè sia di elementi ben strutturati dell’Io ma anche di parti psicotiche rimaste inascoltate. A questo riguardo la Quinodoz ci illumina parlandoci del linguaggio e dell’uso di quest’ultimo: che cos’è un linguaggio che tocca? “chiamo linguaggio che tocca -dice la Quinodoz- un linguaggio che non solo comunica verbalmente pensieri ma sentimenti e sensazioni che accompagnano queste scelte”. Da un lato è necessario che l’analista comprenda il suo paziente, dall’altro che si faccia comprendere dal suo paziente e lo “tocchi” con le sue parole. Altrettanto importante è il linguaggio infra-verbale, è in questo senso che bisogna saper usare sia l’identificazione proiettiva che la contro-identificazione (v. L.Grinberg, cui la Quinodoz fa molto riferimento). L’articolo è corredato di bellissimi casi al riguardo.
Come secondo articolo presentiamo una comunicazione che Antonello Correale, profondo conoscitore di gruppi esperiti anche nel campo istituzionale, ha presentato in un incontro organizzato a Pisa dalla Casa Editrice ETS in ricordo del nostro collega Nino Brignone. Questo scritto dal titolo: Entusiasmo e melanconia, nell’ evidenziare aspetti peculiari del modo di lavorare di Nino, presenta riflessioni sulla leadership a partire dagli studi di Freud e dalle esperienze di Bion ma trasformandoli e portando elementi innovativi di grande interesse. E’ una disanima diretta, frutto della propria capacità di “apprendere dall’esperienza” e di una grande accuratezza osservativa. Correale ricorda Nino e la sua leadership complessa come colui che si fa gruppo affinché quest’ultimo possa introiettare idee e dimensioni nuove rompendo rigidi schemi di riferimento; è un momento culturale, non appiattito sul consenso e sul pensiero conformistico che mirano soprattutto al controllo della persecutorietà e dell’invidia piuttosto che sull’arricchimento. Abbiamo voluto lasciare questo intervento così come Correale l’ha esposto, con l’entusiasmo di chi parla di Nino e con la melanconia che appartiene a chi desidera sviluppare un concetto aperto tollerandone l’incompletezza.

Come terzo lavoro, pubblichiamo un articolo di Laura Mori dal titolo: L’apporto dell’esperienza fraterna allo sviluppo psichico e alla costruzione dell’identità individuale, che affronta una tematica relativamente poco trattata. . Le principali domande di fondo sono relative alle funzioni e conseguenze della esperienza fraterna nella economia psichica e nella formazione del Sé, nel crearsi e strutturarsi della identità, nei riflessi sulla vita adulta, nei riflessi infine sulla eventuale esperienza analitica. Molti sono i testi, le teorie, i riferimenti culturali che l’A. ripercorre con originalità e competenza, offrendo anzitutto un’utilissima rassegna di autori che spesso hanno lavorato in relativa indipendeza. Per approfondire, in particolare, alcune linee tematiche: la diversità tra i fratelli, che pur condividono gli stessi genitori e lo stesso ambiente, e che si può meglio comprendere negli aspetti non condivisi e soggettivi della loro esperienza familiare ed extrafamiliare; la loro diversificazione nel microsistema biologico in cui ogni figlio cerca di costruirsi una “nicchia nella competizione per ottenere un bene”, e crea strategie alternative; la identificazione fraterna “egualitaria e reciproca”, nella esigenza “verticale” e “orizzontale” di giustizia; la rivalità fraterna nel momento della nascita di un fratellino, vera e propria “organizzatrice di differenza” contro i rischi di confusione; l’influenza del gruppo fraterno sullo sviluppo della personalità, sulle capacità cognitive e sulle interazioni sociali (in linee di ricerca che vanno ben aldilà del più tradizionale interesse della psicoanalisi verso le relazioni primarie con i genitori); infine i temi dell’amore e della cooperazione fraterni, e della riattualizzazione delle esperienze reali e/o fantasticate con fratelli e sorelle nella relazione transfert/controtransfert.
Presentiamo infine l’articolo di Andrea Giannoni e Valeria Mazzedimi dal titolo: Arte e riabilitazione in psichiatria: un caso clinico di art-brut. I due autori, approfondiscono, utilizzando materiale clinico, il tema dell’arte come strumento efficace e “ulteriore” nella comunicazione e terapia, e nella riabilitazione di alcuni pazienti psichiatrici gravi. Gli AA. ripercorrono in brevi tratti lo sviluppo storico dell’arte-terapia che utilizza un contesto di comunicazione, quello artistico, certo meno complesso rispetto al linguaggio verbale, dando quindi luogo a meccanismi di difesa meno sofisticati. Il linguaggio artistico può essere una più immediata “finestra sul mondo” interno del paziente indicata per cogliere, rappresentare e contenere aspetti importanti del Sé Puntuali riferimenti ad autori come J. Chasseguet Smirgel, B. Grunberger, C. Conforto, W. Morgenthaler, H. Prinzhorn (oltre che a S. Freud) permettono di mettere a fuoco i temi dell’arte nella psicoanalisi e, in particolare, dell’uso clinico dell’art-brut. Il caso di Francesco, giovane paziente seguito dagli AA., per il quale era stato deciso un TSO, successivamente inserito in un Centro Diurno, illustra l’applicazione di quanto sopra.

Nella rubrica Ritagli, che ospita argomenti che hanno a che fare con la storia delle idee e del pensiero psicoanalitico, pubblichiamo un lavoro molto elaborato sul travagliato percorso formativo di Esther Bick in Inghilterra, fuggita dalla Polonia in seguito alle persecuzioni naziste. Siamo debitori a Roger Willoughby della paziente ricostruzione storica che egli ha compiuto, attingendo con precisione e scrupolo documentario dagli Archivi della British Psychoanalytical Society, dal carteggio di Balint e da interviste rilasciate dalla stessa Bick. L’Autore ci parla dei rapporti della Bick con il Manchester Training Center fondato da Balint e dell’analisi con lo stesso Balint, delle prime esperienze di lavoro clinico presso la Child Guidance Clinic di Leeds. Il periodo sopradescritto precede quello più noto della formazione della Bick _ quello successivo al 1945, quando si trasferisce a Londra, insieme a Balint in seguito alla chiusura del Manchester Training Center. A Londra continua il suo training analitico con Balint, inizia le supervisioni con James Strachey e Melanie Klein, viene assunta alla Clinica Tavistock. Dove inizia la sua formazione più specifica in psicoterapia infantile ed ha come supervisori Paula Heimann e, ancora, Melanie Klein, con la quale intraprende una nuova analisi personale. Roger Willoughby passa poi in rassegna i più importanti apporti teorici della Bick, nel confronto con le idee di Balint e di altri autori come Ferenczi, e della stessa Klein. mette in evidenza come già nel 1953, in un paper di un caso clinico trattato per oltre 5 anni, si prefiguri la elaborazione concettuale successiva che la Bick farà dei fenomeni della seconda pelle (1968) e della identità adesiva (1986). L’articolo di Willoughby, che è stato letto al VI Congresso Internazionale sull’Infant Observation a Cracovia nel 2000, e successivamente pubblicato sull’International Journal of Psychoanalysis, ci è apparso di particolare interesse, in quanto amplia ed in parte modifica l’opinione comune che le idee di Esther Bick vadano collocate tout court nell’ambito della scuola Kleiniana. In Italia, già Dina Vallino e Franco Borgogno hanno meso in dovuto risalto l’affiliazione della Bick nei confronti di Ferenczi e di Balint. Willoughby, a questo proposito, dimostra quanto importante sia stato l’apporto formativo che la Bick ha ricevuto da Michel e Alice Balint (sulla scia di Ferenczi) e dalla scuola psicoanalitica di Budapest il cui lascito culturale ed umano si può ritrovare, rielaborato in maniera personale, in alcune delle idee fondamentali di Esther Bick
Nella sezione Recensioni viene presentato viene presentato un ampio commento di Silvia Fano Cassese al volume: Transfert, Adolescenza, Disturbi del Pensiero: mutamenti nel metodo psicoanalitico, che raccoglie i seminari clinici di Donald Meltzer con il Gruppo Racker di Venezia ed alcuni scritti teorici di Meltzer e di componenti del Gruppo. L'”insegnamento ispirato” di Meltzer, oltre ai suoi due saggi sull’autismo e sul transfert negativo, e gli approfondimenti teoretici di altri autori, sui tre nuclei tematici del libro, ma anche sulla creatività artistica e sulle applicazioni del metodo psicoanalitico in contesti diversi dal classico setting, costituiscono una occasione rilevante di approfondimento, e consentono “di immergersi ancora una volta nel mondo complesso ed affascinante delle idee meltzeriane”. Viene presentato poi da Cristina Pratesi l’ultimo libro di Francisco Palacio Espasa: Depressione di vita, depressione di morte. Il libro, aperto da una bella prefazione di Danielle e Jean-Michel Quinodoz, affronta il tema dei lutti irrisolti, dell’importanza che essi rivestono nella vita psichica dell’individuo, e dei livelli di conflittualità depressiva nel bambino e nei genitori. La posizione depressiva e la sua larga conflittualità sono al centro della disamina e delle intrpretazioni date dall’autore, anche l’approccio terapeutico dovrà essere modulato e pensato a seconda del tipo di conflittualità depressiva in atto. Palacio accompagna la parte teorica con una ricca e vivace messe di riferimenti clinici derivati dalla sua esperienza e da quella dei suoi collaboratori, Luc Magnenat e Corinne Strubin-Rordorf.
Luigia Cresti Scacciati ha redatto un’esauriente e stimolante resoconto sul Convegno Internazionale sul tema “Anthropologie du foetus” tenutosi a Lione. Testimone dell’ interessante movimento nell’ambito della ricerca psicoanalitica che si è costituio recentemente in Francia. mentre infatti da un punto di vista teorico permane un tenace, e talora esclusivo ancoraggio alla metapsicologia freudiana, spesso intrisa di venature lacaniane, sotto il profilo della ricerca e della pratica clinica, viceversa, la psicoanalisi si è aperta ad un fecondo confronto con numerose discipline scientifiche ed umanistiche: anzitutto la medicina nelle sue varie specializzazioni, ma anche la biologia genetica, l’etologia, l’etica e la filosofia. L’esigenza di questo confronto multidisciplinare sulle esperienze pre-natali deriva dalla constatazione clinica che, sia nella psicopatologia che in molte aree della vita affettiva-relazionale, la conoscenza degli stadi più evoluti dello psichismo non basta a spiegare molte situazioni attuali di disturbo e malessere e resta da approfondire meglio l’importanza del periodo pre-natale e il suo possibile legame con la psicopatologia infantile, ma anche adulta. Una delle ipotesi più interessanti intorno a cui si è dibattuto è stata, appunto, quella di una possibile riattivazione di tracce della vita intra-uterina anche nello sviluppo psichico successivo. Da questo deriva l’importanza di studiare meglio il modello specifico della vita affettivo-relazionale del feto, considerando anche la possibile portata preventiva di tale indagine; è ovvio che ciò non possa prescindere da un continuo dialogo con i clinici della gravidanza, gli ecografisti, i biologi e i vari specialisti dei bebè.
Il numero è arricchito, come di consueto, da alcune brevi segnalazioi bibliografiche e dalle notizie sull’attività scientifica dell’Associazione Fiorentina di Psicoterapia Psicoanalitica.