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L’iniziativa presa dal gruppo editoriale di dedicare questo numero della Rivista alla commemorazione del centenario della nascita di Esther Bick ha un significato non solo celebrativo e storico ma anche di riconoscimento dell’importanza che essa ha avuto nella storia del pensiero psicoanalitico e più in particolare per i contributi che ha dato allo sviluppo della psicoanalisi infantile.
La raccolta dei lavori presentati in questo numero, dei quali una parte con i racconti e ricordi di coloro che hanno lavorato con lei ed una parte con gli apporti derivati dai suoi insegnamenti, contribuisce a dare una idea di quanto la trasmissione orale – quella privilegiata da E. Bick, se si considera la scarsa quantità dei suoi scritti – abbia avuto una funzione formativa preziosa a tutt’oggi, fondamento e fonte di conoscenze essenziali per tutti coloro che lavorano col metodo psicoanalitico.
Il recente VI Congresso Internazionale sull’Infant Observation, tenutosi a Cracovia (28 agosto-1settembre 2002), ha mostrato – per la numerosa partecipazione e la qualità dei lavori presentati – tutta la maturità e fecondità raggiunte dalla metodologia messa a punto da E. Bick e dalle numerose sue applicazioni in vari contesti.
In quell’occasione è stata ricordata una frase di D. Houzel, presidente del Congresso, che affermava che quella metodologia apparteneva al campo della psicoanalisi perché “mette in gioco tutta la soggettività dell’osservatore permettendogli di interrogarsi su questa implicazione soggettiva. Essa è un formidabile mezzo per sviluppare quello che Bion ha chiamato “visione binoculare” cioè una capacità di osservarsi osservando. Non è questa la via centrale di ogni pratica psicoanalitica?”. Ricordiamo tutti la frase di D. Meltzer che ci raccontava che ogni volta che faceva una scoperta gli veniva in mente una “B”, cioè Bion o Bick, i due allievi più brillanti di M. Klein, che hanno lavorato presso a poco nella stessa epoca e che hanno sviluppato idee che descrivono gli stessi fenomeni partendo da punti di vista diversi e complementari.
Ritengo che sarà una sorpresa eccezionale leggere in questa rivista, -che più volte in passato ha presentato scritti di notevole interesse per tutti i cultori della psicoanalisi-, il lavoro1, ancora sconosciuto nel nostro ambiente, che E. Bick aveva compilato per la nomina a Full Member della Società Psicoanalitica Britannica a Londra nel 1953, preceduto da una introduzione di R. Willoughby, psicologo clinico e psicoterapeuta ad orientamento analitico, ricercatore di opere e vita di maestri e pionieri. Questa introduzione contiene delle notizie sulla vita di E. Bick, posiziona questo lavoro, scoperto solo recentemente, fra le prime formulazioni dell’autrice e descrive l’analisi da lei condotta. I commenti di Willoughby, sugli apprezzamenti che vi si possono fare oggi con una prospettiva contemporanea del nostro modo di lavorare sono interessanti perché permettono di conoscere lo sviluppo che hanno avuto la teoria e la tecnica psicoanalitica. Aggiungerei, come scrissi per una lavoro clinico di Adda Corti(1) che si riferiva ad una analisi infantile: si tratta di una conduzione strettamente Kleiniana nella quale va sottolineato il significato dell’uso di un modello teorico “forte” “….che certamente sarà stato di aiuto negli incontri analitici; al giorno d’oggi è sempre più raro trovare negli scritti clinici il legame ad un modello unico perché le nuove generazioni di psicoanalisti sono ormai provvisti di più modelli ereditati ed assimilati, a volte ben integrati”(2). Tutto il racconto clinico viene presentato, nello stesso modo del lavoro della Corti che è comunque posteriore (1969) senza alcun riferimento alle proprie impressioni, emozioni, pensieri, rêverie, non permettendoci di comprendere il controtransfert di questa analista. Si caratterizza così nell’area dei cosiddetti primi “kleiniani puri” come, in effetti, lo erano fino ad un certo momento, ma mostra grande contatto, sensibilità e comprensione delle paure della paziente. Va ricordato che la Bick qualche anno dopo e precisamente nel 1961 presenta al XXII Congresso Internazionale di Psicoanalisi ad Edimburgo, un anno dopo la morte di Melanie Klein, un lavoro dal titolo La psicoanalisi infantile oggi(3) dove tratta le questioni specifiche del controtransfert nel trattamento dei bambini indicandolo più pesante che con gli adulti a causa dei conflitti inconsci che insorgono nei riguardi dei genitori del bambino e a causa delle proiezioni concrete e violente che il bambino opera nell’inconscio dell’analista. Ricordo che appena nel 1949 P. Heimann scriveva(4) che il concetto di controtransfert fino a quel momento non si doveva citare ma era, servitore o padrone, diventato una guida.
Nel lavoro di E.Bick si apprezza inoltre la padronanza di una cultura psicoanalitica, quella che poteva esserle nota, e la capacità di riferirsi a concettualizzazioni confrontandole con le sue, come viene sempre richiesto per diventare un membro ordinario.
Mi preme inoltre mettere in evidenza quanto nel lavoro con questa difficile paziente, -come del resto lo sono tutti, diceva Betty Josef -, grande è la sua disponibilità ad accoglierla e come si avvale della sua esperienza dell’osservazione del neonato per comprendere anche le espressioni corporee della sua paziente(5).

L’iniziativa presa concordemente da tutto il gruppo della redazione di dedicare un numero a E.Bick si è avvalsa della mia collaborazione nel programmare una raccolta di contributi da parte di alcuni colleghi che avevano conosciuto e lavorato a lungo con lei; abbiamo richiesto a Pierandrea Lussana, a Jeanne Magagna, a Carla Gallo Barbisio ed a Livia Di Cagno di scrivere i loro ricordi. Invito cui essi hanno acconsentito con intensa partecipazione inviando ciascuno un elaborato. La loro lettura dà un gran significato all’esperienza singolare che hanno potuto fare e che ha generato delle intense relazioni in un clima particolarmente favorevole agli apprendimenti ed al costituirsi di assetti mentali nuovi e creativi.
Ognuno di questi elaborati, pur nella condivisione generale di apprezzamenti ad una metodologia ed ai principi cui si ispira, si differenzia per i personali vissuti emozionali, i contesti nei quali sono avvenute le esperienze, i tempi ed i luoghi.Desidero allegare nell’occasione di questa presentazione il mio ricordo di E.Bick ancora così vivo nella memoria. La conobbi la prima volta nel 1975 ascoltandola a Londra in occasione del Pre-Congresso precedente il XXIX Congresso Internazionale di Psicoanalisi di Londra: si trattava del famoso seminario da lei condotto dal titolo Ulteriori considerazioni sulle funzioni della pelle nelle prime relazioni oggettuali(1). Provenivo da esperienze che, nella mia prima formazione pediatrica e successivamente nella mia formazione psicoanalitica, mi avevano portato a lavorare molto con bambini e con famiglie; avevo sempre privilegiato l’assetto osservativo approfondendolo in seguito con la guida di Lina Generali, Marta Harris e Donald Meltzer, con gli stimoli di M. Balconi, con l’amicizia e gli incontri con Livia Di Cagno. Questa mia preparazione mi permise di apprezzare moltissimo il suo modo di lavorare con dei bambini piccoli in modo analitico e di approfondire il significato delle osservazioni del neonato in famiglia che lei stessa presentò in quel seminario; fu per me una situazione di grande apprendimento alla quale segui qualche anno dopo, nell’ottobre del 1979, mentre lavoravo, con grande interesse, come formatore con piccoli gruppi di osservatori del neonato in famiglia con la metodologia di E. Bick, un mio incontro nella sua casa londinese. Le chiesi ed ottenni una supervisione del mio lavoro che fu una vera full-immersion nella sua metodologia: per ben quattro ora di quel pomeriggio E. Bick si dedicò a seguirmi, rispondere alle mie domande su quello che via via le presentavo di parti di una osservazione, illustrarmi i suoi punti di vista arricchendoli con sue esperienze e suoi concetti fondamentali e anche ricordi della sua formazione. Voleva darmi una evidenza di tutto quello che mi comunicava e sapeva riconoscere le emozioni di un bambino piccolo con esempi molto significativi. Non trascurava nessun particolare e chiedeva sempre i dettagli e poi riusciva a dirmi: “lo vedi ora cos’è quel singhiozzo?”, “quella colica è cominciata in quel momento lì”. Con me erano presenti mio marito(6) ed una collega che mi aiutava per la comprensione dell’inglese, ci offrì un drink e delle mandorle e quando andammo via ci salutò affettuosamente, riempì le nostre tasche di un po’ di mandorle dicendoci “non si sa mai…” (“you never can tell…”; sentii molta commozione ricordando i tragici eventi che avevano segnato la sua vita. Usciti fuori, -era ormai buio in un quartiere per noi sconosciuto di Londra nell’attesa di un Taxi per ritornare all’albergo-, quelle mandorle in tasca e tutto quello che avevamo preso dalla sua mente sono stati un bel sostegno!

Dobbiamo essere molto grati a Dina Vallino per l’invio di una edizione rivista della relazione dal titolo Apporti dell’Infant Observation alla formazione dello psicoanalista che presentò in occasione dei Seminari Multipli di Bologna (27/1/2001), da lei condotti insieme con Roberto Basile e me. Dina è molto nota per le sue ricerche, le sue attività, i suoi lavori, i suoi scritti nel campo della psicoanalisi infantile e non devo certo presentarla. E’ inoltre una mia cara amica e collega da moltissimo tempo: siamo state insieme tante volte in situazioni di apprendimento, di ascolto e discussione in svariate occasioni, di comunicazione del nostro lavoro ed i nostri primi incontri sono avvenuti proprio nei Seminari di Infant Observation, a Milano, con la supervisione di L. Generali e M. Harris (1978-1982). Sarà quindi una occasione straordinaria poter far leggere e far riflettere su alcune sue concettualizzazioni che riguardano la metodologia dell’osservazione, come atmosfera emotiva familiare, atmosfera materna, attitudine osservativa, modelli di comprensione profonda dell’evento osservativo. Il lavoro rende inoltre rende ben chiaro come le esperienze e le ricerche derivate dall’Infant Observation offrono considerevole apporto conoscitivo e formativo non solo per uno psicoanalista di bambini ma anche per uno psicoanalista d’adulti
Il lavoro di Romana Negri, M. Lodovica Terragni e Silvia Menichetti costituisce un vivace esempio dell’utilizzazione della metodologia di E.Bick, che permette -ad esempio- di affrontare e cercare di comprendere situazioni relazionali particolarmente problematiche e delicate.

In questo numero è stata inserita anche una relazione sul VI Congresso Internazionale sull’Infant Observation, come ho, citato all’inizio. Essa è stata compilata da Andrzej Gardziel che ne è stato l’organizzatore. Egli si è prodigato generosamente sia nella preparazione sia nell’organizzazione del Congresso e per tutti i partecipanti, me compresa, è stato capace di offrire una ospitalità eccezionale creando un clima di amicizia e di collaborazione indimenticabile.

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Un’altra preziosità di questo numero monografico è la interessante recensione, scritta da Donatella Paggetti, del primo volume di Michel Haag, uscito nel 2002, molto atteso sapendo che l’autore ha lavorato a lungo con E. Bick e che in molte occasioni ha trasmesso fedelmente e rigorosamente non solo la metodologia ma anche la sua comprensione di alcune caratteristiche del pensiero, dello stile personale di questa analista. Il libro contiene inoltre le testimonianze di molti scambi di riflessioni con colleghi specialmente sulla formazione di un buon osservatore partecipe e di un buon conduttore supervisore di gruppi di osservatori. La mia conoscenza personale e la mia stima per il suo lavoro, la sua dedizione continua ed approfondita nella ricerca scrupolosa di trasmettere correttamente ogni punto del suo scritto, la sua devozione ad una grande maestra come lo è stata per lui e per molti di noi mi portano a consigliare la lettura del suo libro come un libro di studio, come una fonte ricca di apporti fondamentali.

Gina Ferrara Mori

Note:
1. Siamo debitori di Luigia Cresti Scacciati per questa fortunata “scoperta” consultando il , “British Journal of Psychotherapy”
1) Ansie primitive mobilitate dal compleanno nell’analisi di una bambina piccola, 1969, ripubblicato nella Rivista “Richard & Piggle”, 9,3, 2001, pp.244-261
2) Nota introduttiva, “Richard & Piggle”, 9,3, 2001, p.242
3) Child Analysis Today , “International Journal of Psychoanalysis”, 1962, 43: 328-33
4) On countransference, “International Journal of Psychoanalysis ”, 31/1950
5) “L’importanza del respirare, fare aria e mandare odori per la mia paziente, insieme all’osservazione dei neonati fin dal primo giorno di allattamento, mi hanno indotta a ritenere che all’inizio dell’allattamento il bebè non può godersi il latte o il seno perché deve adattare il suo respiro alla suzione, deve ancora trovare un ritmo soddisfacente [É] A questo stadio è il capezzolo che viene sentito come l’oggetto ideale, in quanto protegge il bambino dal soffocamento e dal tagliare il seno con respiro ed aria aggressivi”
6) Franco Mori e Gioia Piccioli

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