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Il trentesimo numero di Contrappunto presenta una serie di articoli teorico-clinici sul lavoro psicoterapeutico, su modificazioni e/o scelte tecniche particolari in base non solo alla patologia dei pazienti ma anche alla possibilità di operare un cambiamento, articoli che offrono spunto per una riflessione più ampia sullo specifico della psicoterapia psicoanalitica.
Jean-Michel Quinodoz, dopo una breve rassegna dello sviluppo teoretico del concetto di angoscia di separazione, sottolinea come la differente importanza che viene attribuita a questo tema e il diverso atteggiamento verso questo tipo di angoscia nel lavoro analitico dipendano da come viene concepito e teorizzato il narcisismo nelle diverse correnti psicoanalitiche. Le scelte dell’A. vanno nella direzione della necessità di frequenti e dettagliate interpretazioni in analisi (se pur non in modo stereotipato e sistematico, ma in maniera appropriata alla diversità delle situazioni e dei momenti specifici della relazione), allo scopo di favorirne l’elaborazione, “dei fenomeni narcisistici ed oggettuali legati al transfert, come appunto le angosce di separazione”. Le manifestazioni di questa angoscia sono da lui considerate inoltre come un momento privilegiato per comprendere e interpretare gli “aspetti latenti del transfert” e lo stato delle relazioni oggettuali dell’analizzato. Quinodoz, con due esemplificazioni in sequenza di un caso clinico, bene evidenzia l’acquisizione nella sua paziente di una maggiore capacità di contenere le sue emozioni che diventano poi esprimibili e verbalizzabili, ed esprime la sua convinzione che scopo dell’analisi non è il raggiungere uno stato ideale al riparo dalla sofferenza e dal dolore, ma acquisire “una capacità di contenere le angosce, di legare l’amore all’odio, di acquisire una mobilità ed una agilità affettiva che consentano lo sviluppo di una “capacità di essere soli’”.
Di particolare attualità è l’articolo di Paul Barrows, che esplora -alla luce di un esauriente e dettagliato caso clinico infantile-, le connessioni fra traumi esterni ed interni e il ritiro autistico inteso come limite estremo della risposta dissociativa. Oltre a tali connessioni, che hanno ricevuto notevoli conferme anche dalle ricerche in campo neurobiologico, Barrows mette in rilievo come si possa instaurare, nella mente del bambino, un collegamento fra l’esperienza del trauma ed il normale compito di sviluppo di accettare sentimenti aggressivi innati. L’evento o gli eventi traumatizzanti sono vissuti come un attacco violento e persecutorio e come ritorsione per aver avuto tali sentimenti, portando ad una massiccia scissione di tutta l’aggressività, bloccando l’attività del bambino, la sua capacità di giocare e di parlare, fino al ritiro autistico. Nel trattamento di questi bambini, questo comporta, come ha ben illustrato Barrows, introdurre alcune modificazioni sul piano tecnico, in particolare che il terapeuta non solo assuma un ruolo più attivo nel gioco ma anche che vi introduca, in un contesto di reciproco e mutuo impegno emozionale, argomenti specifici, come il tema dell’aggressività. Barrows sottolinea l’importanza del gioco interattivo post-traumatico, nel senso di dare al bambino l’esperienza che l’aggressività, i sentimenti aggressivi e la rabbia possano essere introdotti senza pericolo nella relazione, che con essi si possa “giocare”, esplorandoli e integrandoli.
Al trattamento di pazienti gravi adulti è dedicato invece il contributo di Andrea Giovannoni: Dopo una breve introduzione sulla prassi psichiatrica con i pazienti gravi e la descrizione, sul piano psicopatologico e psicodinamico, del sintomo autismo e allucinazione uditiva, è riferita la psicoterapia ad orientamento psicoanalitico e l’intervento di riabilitazione in un giovane psicotico afferente al Servizio di Salute Mentale. L’autore, in palese e dichiarata difformità con il modello epistemologico del Servizio, ha optato per un setting individuale, con “totale e personale” presa in carico, privilegiando il bisogno di ascolto e di riservatezza del paziente che sembra andare alla ricerca di un “rifugio in una stanza privata”. Il percorso terapeutico, descritto con molta sensibilità e partecipazione dall’A., è carico di sofferenza, di frustrazione e di incertezza operativa, ma presenta anche peculiari ed originali opportunità. L’A. conclude il saggio con una indicazione teoretica importante: che con un paziente grave non sembra essere “sempre vero che un intervento integrato e multidisciplinare sia migliore rispetto ad una psicoterapia individuale che sia rispettosa delle reali esigenze del paziente”, libera insomma da modelli e prassi istituzionali ed operative rigide e stereotipate.

Per la rubrica Ritagli, Nadia Buonamici presenta una sua riflessione su come, nel corso del lavoro psicoterapeutico, le specifiche qualità di un’opera d’arte possono diventare, per una determinata persona e in un particolare momento, un potente catalizzatore mentale capace di trasformare l’esperienza così come può fare un’interpretazione mutativa. Attraverso alcuni flashes di una lunga psicoterapia con un paziente affetto da patologia di tipo narcisistico-distruttivo e particolarmente sensibile alla bellezza estetica., è possibile vedere come le opere d’arte, studiate e menzionate in seduta, hanno consentito al paziente di esprimere parti di sé sconosciute in una dimensione emozionale dove si sviluppava una continua alternanza tra sé ed opera d’arte in un intreccio appassionato e appassionante. Al tema dei rapporti tra psicoanalisi ed estetica è dedicata anche la recensione, precisa ed attenta, redatta da Silvia Fano Cassese.

Linda Root Fortini, nella sua dettagliata recensione, offre l’opportunità, attraverso una rassegna critica di contributi a volte assai divergenti, di rivisitare il lungo e faticoso dibattito scientifico relativo alle differenze e alle somiglianze tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica per cercare di arrivare ad individuare (se possibile) l’identità della psicoterapia psicoanalitica. Un tema, questo, su cui si è impegnata a lungo anche l’AFPP, come testimoniano le numerose Interviste apparse nei passati numeri di Contrappunto.
Completa questo numero un’ interessante recensione di Antonino Brignone che ribadisce il valore del metodo osservativo di Esther Bick per la comprensione anche del funzionamento psichico degli adulti in psicoterapia – un tema, anch’esso, caratteristico del training formativo dell’AFPP.